Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2013 alle ore 09:34.

My24

Il gruppo si avvale della gestione centralizzata della tesoreria del gruppo Riva Fire, che avviene tramite la capogruppo Riva Fire e le sue controllate Centre de Coordination Siderurgique Sa e Stahlbeteiligungen Holding Sa». Nel verbale, prima che Taranto esplodesse, si scriveva che «a oggi non esistono motivi per non ritenere che i fondi e le linee di credito attualmente disponibili presso la capogruppo, oltre a quelli che saranno generati dall'attività operativa di finanziamento, consentiranno il soddisfacimento dei fabbisogni derivanti dalle attività di investimento, di gestione del capitale circolante e di rimborso dei debiti alla loro naturale scadenza».
I debiti bancari, appunto. A naturale scadenza. Fanno il paio con i soldi da trovare per le bonifiche interne e gli ammodernamenti degli impianti. È vero che, adesso, per il conflitto magistratura-politica e magistratura-azienda, le prescrizioni dell'Aia si sono incagliate. In ogni caso, la famiglia lombarda ha sempre fatto sapere che le risorse finanziarie (i soldi) si sarebbero dovute trovare nel perimetro della controllata. Ma quale banca finanzierebbe lavori per 3,5 miliardi di euro (la stima minore) in una impresa paralizzata?
In queste ultime settimane, però, le parole di Ferrante hanno assunto il peso dell'acciaio. Anche perché la partita finanziaria – dato che la famiglia ha più volte dichiarato di non avere intenzione di fare arrivare soldi dai piani superiori – si gioca tutta fra l'Ilva e, al massimo, la capogruppo italiana Riva Fire. Per ora la Centrale Rischi della Banca d'Italia non ha registrato alcuna anomalia.
La situazione, però, è da monitorare con attenzione. Il rischio è che ad accorgersi per primi che qualcosa davvero non va nelle casse delle società italiane dei Riva siano i lavoratori di Taranto, in attesa delle loro buste paga.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi