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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2013 alle ore 06:38.

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I dissesti degli enti locali, e le misure d'urgenza varate a ottobre dal Governo Monti per evitarli, sono un tema di gran moda nel dibattito sui conti pubblici: Alessandria, Parma, Napoli, Reggio Calabria, Palermo, Catania e le altre città che hanno già alzato bandiera bianca o rischiano di capitolare disegnano una geografia estesa e particolareggiata dei conti bucati, che in autunno ha spinto il Governo Monti a un ragionamento semplice quanto allarmante: un allarme diffuso in città così numerose e importanti disegna un rischio default sistemico, cioè una minaccia grave per una finanza pubblica che rimane fra i sorvegliati speciali in Europa e non solo.
Giusta o sbagliata che sia (i giudizi di esperti e commentatori si dividono), la nuova rete di protezione si è praticamente disinteressata delle Regioni. Ma se dai bilanci dei sindaci si passa a quelli dei Governatori, la situazione non migliora, anzi: per spulciare questi conti serve parecchia pazienza, perché i bilanci parlano ancora lingue diverse in ogni Regione e la disponibilità dei numeri non è sempre puntuale, ma un paio di cifre mostrano bene l'entità del problema.
Partiamo dai debiti. Quelli finanziari, rappresentati dai mutui e dalle emissioni, sono stabili e viaggiano poco sotto i 42 miliardi di euro (e arrivano a 50 se si conteggia anche la quota a carico dello Stato). La stabilità generale è frutto naturalmente di diverse dinamiche territoriali, che vedono per esempio il Piemonte aumentare tra 2010 e 2011 il proprio passivo del 10,5% (seguito in questa corsa dal Molise, +8,8%), mentre Calabria ed Emilia Romagna mostrano le contrazioni più decise. Questa voce rappresenta il debito "classico", quello che si ritrova nei conti consolidati che ogni anno il nostro Paese deve presentare a Bruxelles, e vale la pena di notare come la sanità, che pesa per 4/5 sui bilanci regionali, sia responsabile di una quota molto inferiore dell'indebitamento complessivo delle Regioni. Su questo panorama incombe però la parte non ancora finanziata dei piani di rientro che impegnano otto Regioni (il Piemonte e il Centro-Sud con l'eccezione della Basilicata), e che muoveranno cifre importanti.
Il passivo regionale ha però un altro capitolo importante, rappresentato dai debiti commerciali, cioè le somme impegnate che non si sono ancora trasformate in pagamenti ai fornitori e che nel linguaggio contabile prendono il nome di «residui passivi». Si tratta di una montagna di 68 miliardi di euro, che solo in parte possono essere imputati al Patto di stabilità (diverso da quello di Comuni e Province) e che si accompagnano ad altri 21 miliardi che sono stati eliminati dai bilanci per eccesso di anzianità. Il tratto di penna che cancella queste cifre dai conti non elimina però «l'obbligazione giuridica», che impone alla Pubblica amministrazione di saldare i propri creditori, per cui il loro peso va comunque considerato. Risultato: il passivo complessivo delle Regioni vola a 130,7 miliardi di euro, cioè qualcosa meno di 9 punti di prodotto interno lordo. Tra i territori a Statuto ordinario primeggia il Molise, con un passivo da 4.740,5 euro ad abitante, seguito dal Lazio (4.005,3 euro a cittadino), Puglia (3.089,1) e Campania (2.674). Più difficile ricostruire la graduatoria delle Regioni autonome: anche in questo caso ai primi posti nel pro capite ci sono i territori più piccoli, mentre fra le grandi Regioni non è disponibile il dato della Sardegna mentre quello siciliano risale al 2010.
Oltre all'articolazione del passivo, che dunque va ben oltre il puro indebitamento finanziario, ad ampliare la distanza fra teoria contabile e realtà dei bilanci ci sono i risultati d'esercizio. In questo caso i dati sono del 2010 perché i consuntivi 2011 non sono ancora disponibili, ma la sostanza non cambia. Il risultato "ufficiale" d'amministrazione, è positivo per 32,2 miliardi, ma se si tolgono dal conteggio le «economie vincolate» (fondi soprattutto nazionali già destinati a progetti specifici) e i residui passivi perenti (i mancati pagamenti cancellati per anzianità ma ancora dovuti), il risultato netto volge in negativo per 19,9 miliardi di euro. Un «rosso» annuale imponente, che certo non spinge all'ottimismo sulle prospettive a breve e medio termine.
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gianni.trovati@ilsole24ore.com
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