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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2013 alle ore 22:00.
L'ultima modifica è del 22 gennaio 2013 alle ore 16:18.

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Primo ministro Benjamin Netanyahu (LaPresse)Primo ministro Benjamin Netanyahu (LaPresse)

GERUSALEMME - Benyamin Netanyahu primo ministro per la terza volta. Bibi ha ringraziato questa sera gli elettori israeliani per averlo rieletto alla guida di un governo di coalizione. La lista comune Likud-Israel Beitenu, tuttavia, si è affermata con un margine assai inferiore al previsto: è quanto risulta dai primi exit poll alla chiusura delle urne, che assegnano alla coalizione 31 seggi (contro i 42 di cui godevano nell'ultima Knesset); a sorpresa al secondo posto la formazione 'Yesh Atid' (C'è un futuro), del centrista Yair Lapid.

Le destre avrebbero in totale 61-62 seggi su un totale di 120, contro i 58-59 del centrosinistra. «I risultati che si delineano rappresentano una grande occasione per realizzare molti cambiamenti a favore di tutti i cittadini. Ci aspettano molte sfide. Inizierò già stasera gli sforzi per comporre un governo il più largo possibile», ha commentato Netanyahu su Facebook.

Come sempre, i primi a votare già lunedì sono stati i soldati in servizio. Quelli sul monte Hermon, la cima più alta delle alture siriane del Golan, lo hanno fatto tra cumuli di neve. Il resto del Paese lo ha fatto il giorno seguente, in una giornata di sole abbagliante. Forse il tempo primaverile ha spinto ai seggi una proporzione maggiore del previsto, dei 5,6 milioni di israeliani chiamati nei mille seggi del Paese per eleggere i 120 deputati della Knesset, il parlamento nazionale. Alle 16 aveva già votato il 46,9% degli elettori: cinque punti più delle elezioni precedenti del 2009. E' una percentuale da record che potrebbe nascondere qualche sorpresa allo spoglio dei voti.

Forse per il risultato finale scontato, forse per l'assenza di temi forti, la campagna elettorale è stata noiosa e senza sorprese. Nessuno ha voluto affrontare la questione palestinese e delle colonie ebraiche nei territori occupati; discutere se bombardare i siti nucleari iraniani o attendere i risultati della mediazione americana. Altri temi apparentemente di rilievo ma ignorati sono stati la guerra civile nella vicina Siria e la recente battaglia di Gaza che ha garantito ad Hamas una inaspettata vittoria politica: la striscia di Gaza non è più una gabbia isolata.

Hanno invece dominato i temi sociali. Israele ha una crescita economica elevata, il 3,3% nel 2012. Ma secondo l'Istituto israeliano delle assicurazioni, il 24% della popolazione è povera. Come nei Paesi occidentali aumenta il gap fra la minoranza sempre più ricca del Paese e la maggioranza sempre più povera. Nemmeno questi temi, tuttavia, hanno appassionato un elettorato distratto e in generale soddisfatto.

Se i partiti hanno ignorato la questione di fondo – se riprendere o no la trattativa di pace con i palestinesi – è perché gli israeliani non ne vogliono parlare. Molti si sono convinti che il problema non esista.
Nei quasi 64 anni di esistenza, nessuna elezione in Israele ha garantito a un partito la maggioranza assoluta dei voti e dei seggi. Il sistema proporzionale e uno sbarramento al 2% permettono a una pletora di partiti di accedere alla Knesset e di contare qualcosa nella lunga e complicata trattativa che forma la coalizione di governo.

Il problema di Bibi Netanyahu non era tanto quello di vincere, assecondando tutti i pronostici (anche i più negativi garantivano al Likud, il suo partito di destra, la maggioranza dei seggi), quanto di mettere insieme un'alleanza stabile. Da oltre una decina di anni l'elettorato punta a destra, rafforzando i partiti nazional-religiosi. Questi insieme ai partiti puramente religiosi, sono gli alleati naturali del Likud di Netanyahu.

Al primo ministro tuttavia, potrebbe essere offerta una seconda possibilità: quella di formare una coalizione più moderata, insieme ai partiti di cento e centro-sinistra. La scelta che farà Netayahu condizionerà più le scelte di politica estera e di difesa che quelle puramente interne ed economiche. Una maggioranza di destra/estrema destra segnalerebbe la volontà di non voler riconoscere ai palestinesi i loro diritti nazionali, di cercare la soluzione militare per fermare il nucleare iraniano, di entrare in una rotta di collisione con l'amministrazione Obama e con il resto del mondo.

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