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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2013 alle ore 06:38.

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ROMA
«Forse gli investitori non hanno capito più nulla. Sui mercati si è creata confusione. In quel preciso momento ho avuto la netta sensazione che il rischio più grande per un Paese potesse diventare il suo rating». A parlare è Alexander Kockerbeck, capoanalista per l'Italia di Moody's fino a metà luglio del 2012. Commenta con amarezza quanto accaduto il 13 luglio 2012, giorno in cui l'Italia viene declassata da Moody's di due gradini, da "A3" a "Baa2", il livello più basso mai avuto nella storia del rischio sovrano italiano, un gradino sotto S&P's (BBB+) e due sotto Fitch (A-). La bocciatura in luglio, la terza in nove mesi di Moody's, non porta più la sua firma. Kockerbeck sottoscrive la retrocessione dell'Italia nell'ottobre 2011 (tre gradini dalla Aa2 alla A2) e con meno convinzione il declassamento successivo (dalla A2 alla A3) in febbraio. Poi in estate, getta la spugna.
Nella sua prima intervista sul caso Italia dopo le sue dimissioni, Kockerbeck spiega perché ha deciso di prendere le distanze da Moody's e da quello che lui considera un "pericolosissimo circolo vizioso": «com'è noto, dopo lo scoppio della crisi dell'euro, Moody's ha cambiato la metodologia sul rating sovrano e ha attribuito un peso maggiore al nervosismo del mercato, inserendolo nel modello di valutazione come rischio di perdita dell'accesso ai mercati per rifinanziare il debito. Mi sembra giusto tener conto di questo rischio, però il ripetuto taglio del rating per motivi assai simili di per sé allontana gli investitori aumentando il rischio di funding e questo può innescare un circolo vizioso».
Il declassamento in luglio è stato una doccia fredda: livello Baa2 dopo due tagli in tempi stretti. Moody's storicamente aveva avuto una visione di lungo orizzonte, prescindeva dal ciclo economico e dai movimenti temporanei del mercato, valorizzava i punti di forza...
Sono d'accordo. Ricordo che Il Sole 24 ore titolò "un assist alla speculazione". In quel momento molto delicato Moody's si limitò a ripetere tutti i problemi e i punti negativi dell'Italia, già noti, secondo me senza controbilanciarli con i punti di forza che c'erano e ci sono ancora. Forse sbaglio, ma ho l'impressione che Moody's seguiva il "main stream" invece di dare un orientamento attraverso l'analisi: sul mercato c'era la paura che per motivi di contagio l'Italia potesse perdere l'accesso ai mercati. Allora, l'agenzia di rating deve dare le risposte alle domande del mercato: è giustificata questa paura? È un fenomeno temporaneo o strutturale? Quali sono le opzioni rimaste sia a livello paese ed europeo? Gli sviluppi nella seconda metà del 2012 dimostrano che sarebbe valsa la pena trattare queste domande in un'analisi di rischio. Oggi, come analista ed advisor indipendente, rileggo i documenti pubblicati da Moody's e mi sembrano indicare che a partire dal declassamento dell'Italia nell'ottobre 2011 il criterio principale era ripetutamente il funding risk, derivato dal nervosismo sul mercato.

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