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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2013 alle ore 08:14.

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ROMA
Prima la constatazione. Molti elettori del Pdl sono insoddisfatti perché si aspettavano una rivoluzione liberale. E «non c'è stata». Poi il Professore getta lo sguardo al futuro, nel quale prefigura un partito che «non sarà sempre guidato dall'onorevole Berlusconi». A quel punto, e siamo all'esito del ragionamento, senza il «tappo che per natura sua impedisce le riforme», collaborare con il Pdl sarebbe naturale.
Pochi essenziali passaggi per suscitare reazioni furenti d'ogni lato: l'apertura di Monti al "popolo" del Cavaliere, annunciata un po' a sorpresa, anche se per molti versi implicita nella strategia dell'alleanza centrista, va di traverso a entrambi i vecchi poli (e non solo). Così, simultanee e speculari piombano a stretto giro le risposte di fuoco dei partiti. In primis da parte di chi, insidiato, respinge l'idea di un fallimento del centrodestra, cioè Alfano. «Il Pdl o è con Berlusconi leader o non è», taglia corto il segretario. Anzi, «se c'è una cosa da cui il Paese deve essere mondato questo è Monti e il governo dei tecnici», dice Alfano per rafforzare il concetto. Anche nel centrosinistra non si cercano frasi di circostanza per mostrare l'irritazione causata dalle recenti sortite del presidente del Consiglio dimissionario, in corsa per Palazzo Chigi. «Trova un difetto al Pd tutti i giorni, per un anno non ne ho mai sentiti» è l'appunto di Pier Luigi Bersani, anche con riferimento alle affermazioni di Monti sulla vicenda Monte dei Paschi. Confuso dall'ambivalenza del leader di Scelta Civica il capogruppo alla Camera Dario Franceschini, che si chiede in aperta polemica con Monti «se è lo stesso premier che abbiamo sostenuto o un suo sosia a caccia cinicamente di voti».
Il possibile patto con un Pdl non più a trazione berlusconiana segue, nel pensiero di Monti, la verifica di un insuccesso ampiamente dimostrato dallo stato di salute dell'economia italiana stante la presenza da protagonista sulla scena del Cavaliere. «Di lì - spiega il Professore nel corso di un'intervista mattutina a Radio Anch'io - sono venuti alcuni singoli deputati, senatori e parlamentari europei a raggiungere le nostre liste perché hanno voglia di fare seriamente riforme, anziché di tutelarsi con un uso forzato della giustizia». Anche qui, un addebito pesante a Berlusconi e non del tutto usuale per lo stile di Monti. Forse il segno che davvero si è deciso ad ascoltare i consigli del consulente americano David Axelrod incontrato qualche giorno fa («il guru di Obama mi ha detto varie cose compreso, in certe circostanze, di essere più cattivo di quanto non sarebbe nella mia natura, ma è un ruolo che preferisco contenere allo stretto indispensabile»).
La linea per ora rimane comunque dialogo con tutti. Persino con Stefano Fassina, avversario spesso evocato, al quale, intervenendo ieri sera su La7, ha riservato toni più concilianti. In ogni caso, Monti conferma «stretta» chiusura alle forze non riformiste. In questo, soprattutto considerando le responsabilità del disastro equamente distribuite nell'arco parlamentare, gli inviti si fanno taglienti. «Chi è contento di quello che è successo negli ultimi vent'anni può votare con il Pd collegato con l'estrema sinistra o il Pdl collegato con la Lega». Gli elettori hanno davanti «una scelta facile» se vogliono optare per quelle formazioni «che hanno tenuto in piedi o in ginocchio l'Italia». Io, conclude, «ho voluto dare agli italiani una possibilità nuova». Che passa, sì, per uno schema che prevede l'appoggio sostanziale di Udc e Fli, ma con rispettivi margini di autonomia quasi rivendicati da Monti: «Adesso ognuno va per la sua strada, in modo coordinato sullo stesso progetto politico, interpretato in modi diversi, ma con piena armonia». Pier Ferdinando Casini si accoda. «Marciamo divisi per colpire uniti». Fiducioso per il risultato finale Gianfranco Fini. «Credo che la coalizione Monti possa arrivare intorno al 20% se non oltre».
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OBIETTIVO RIMONTA
I cardini della campagna
«Abbiamo tutte le carte per vincere». Così Berlusconi ieri alla presentazione dei candidati del Pdl per le politiche del 2013 al teatro Capranica. Il Cavaliere ha sbandierato sondaggi che testimonierebbero il forte recupero del centrodestra ormai distante "solo 5 punti" dallo schieramento guidato da Bersani. Berlusconi ha chiesto ai candidati di fare campagna avendo a mente tre punti principali: «Tutto ciò che il nostro ultimo Governo ha prodotto»; «Che cosa è successo nel novembre 2011»; «Il nostro programma confrontato con quello della sinistra»
Ricambio generazionale
Sarà l'effetto dell'esclusione dalle liste dei cosiddetti "impresentabili" e la voglia di dare un segnale di cambiamento. Fatto sta che ieri, al teatro Capranica, le prime file erano riservate per lo più a giovani, donne e pochi parlamentari uscenti. Prima di salire sul palco Berlusconi sedeva tra Annagrazia Calabria e il 25enne campano Massimo Pepe, una delle (poche) new entry della squadra 2013. Almeno nelle prime cinque file, c'erano molti volti nuovi, tutti under 40. E a fare "lezioni elettorali" ai novizi si sono alternati i "quarantenni azzurri" Angelino Alfano e Maurizio Lupi

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