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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2013 alle ore 13:22.

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Oltre 2mila esuberi, possibile mobilità volontaria tra le sedi, soprattutto da Torino a Milano e da Firenze a Bologna e possibili licenziamenti collettivi. La trattativa sindacale in casa Unipol-Fonsai parte in salita: da giovedì sono in programma le assemblee sindacali presso le sedi per definire le modalità della mobilitazione contro il piano proposto dall'azienda in concomitanza con la fusione Unipol, Premafin, Fondiaria-Sai e Milano Assicurazioni.
Dopo un primo incontro interlocutorio, ieri la riunione tra azienda e rappresentanze sindacali per entrare nel merito della trattativa. Sul tavolo, una bozza di accordo sulle regole definita "preambolo" del verbale di accordo sulla fusione e sul nuovo piano industriale 2013-15.
Gli esuberi dichiarati ammontano, secondo la proposta dell'azienda, a 2.240, il 25% degli attuali dipendenti (8.165). Nel testo si prevede la necessità di una mobilità tra le varie sedi in funzione della riorganizzazione del gruppo che segue la fusione e non si esclude esplicitamente, sottolineano i sindacati, l'applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi.
In una nota unitaria, le Segreterie nazionali dei Coordinamenti del gruppo denunciano l'elusione "delle garanzie fondamentali" e parlano di "inaccettabili ricadute sulla vita di migliaia di famiglie". La posizione dell'azienda, spiegano, "non consente uno sviluppo della trattativa coerente con le tutele richieste dalle organizzazioni sindacali e presenti in tutti gli accordi sottoscritti nei grandi gruppi assicurativi".

Tra i passaggi contenuti nella proposta, la cessione di un ramo d'azienda (pari a 1,7 miliardi di portafoglio, come richiesto dall'Antitrust) senza però indicazioni chiare, denunciano i sindacati, su dipendenti coinvolti e senza altre precisazioni su criteri e garanzie.
Il rischio, dunque, è che il fondo per la gestione degli esuberi in ambito bancario e assicurativo non tuteli tutti gli addetti (900 quelli che dovrebbero rientrare), così come resta l'incognita della mobilità forzata e dei possibili licenziamenti collettivi

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