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Questo articolo è stato pubblicato il 07 febbraio 2013 alle ore 06:41.

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Per i tunisini prima era un portabandiera della resistenza all'avanzata degli islamici, uno dei capi più stimati dell'alleanza laica del Fronte popolare anti-governativo, adesso è un martire: Chokri Belaid, avvocato cinquantenne, segretario del partito di opposizione Nidaa Tounes, Partito dei Patrioti democratici unificati (Ppdu), è stato ucciso a bruciapelo da un commando di due uomini in motocicletta davanti alla sua casa nel quartiere di El Menzah. Questo omicidio segna una svolta perché finora la violenza non era stata accompagnata dall'uso di armi da fuoco, in un Paese dove peraltro ci sono agguerrite cellule di Al-Qaeda e movimenti islamici salafiti che si rifanno alla Jihad.

Gli interrogativi intorno a questa esecuzione, che avviene in un momento di profonda crisi politica ed economica, sono inquietanti. Uno su tutti: è questa la fine della Tunisia "disarmata" e tutto sommato moderata ereditata due anni fa dal crollo del regime di Ben Ali? Siamo di fronte a una possibile deriva all'egiziana?

Le proteste, con l'appoggio dei movimenti laici e del sindacato Ugtt, sono esplose immediatamente in tutto il Paese e ad Avenue Bourghiba, nel cuore della capitale, la folla ha eretto barricate ed è stata dispersa da granate lacrimogene mentre gridava slogan contro la formazione islamica di maggioranza Ennahda e l'organizzazione affiliata al partito, la Lega per la protezione della rivoluzione (Lpr), chiamata in causa dai manifestanti come corresponsabile per l'assassinio di Belaid.

La Borsa, travolta dall'incertezza mentre si annuncia uno sciopero generale dell'opposizione, è crollata del 3,7%, bruciando i guadagni di inizio anno. Un'instabilità che probabilmente non verrà fugata neppure dall'annuncio che il primo ministro Hamadi Jebali sta per sciogliere il governo di coalizione, guidato dal partito islamico Ennahda, per formare un esecutivo tecnico di unità nazionale.

A Tunisi già sabato scorso si intuiva che potesse accadere qualche evento significativo perché nelle strade il clima politico, mentre i partiti erano paralizzati nei negoziati per la formazione del nuovo governo, si stava facendo incandescente. Gruppi di giovani radicali, con il contributo dei salafiti provenienti dalla moschea integralista di El Fath di Avenue Liberté, hanno attaccato la sede del partito di Belaid e dell'ex primo ministro Caid Essebsi: la polizia non è intervenuta ed è toccato ai militanti difendere l'edificio.

Gli atti intimidatori contro politici, giornalisti e sindacalisti da parte degli estremisti si sono moltiplicati: in un anno sono stati distrutti o incendiati 37 mausolei sufi, simbolo dell'Islam più tollerante; gli islamisti, in nome di una versione puritana del Corano estranea alla storia tunisina, avevano persino decretato una fatwa contro le celebrazioni del Mouled, il compleanno del Profeta Maometto, una delle feste tradizionali più sentite dai tunisini. Il ministero degli Interni - con la polizia che giovedì scorso protestava per la mancanza di direttive chiare - e il partito Ennahda, guidato da Rashid Gannouchi, hanno lasciato che la violenza politica prendesse piede, non intervenendo neppure per frenare i predicatori islamici, alcuni originari delle monarchie del Golfo, che da mesi pronunciano sermoni radicali in giro per il Paese. Ma c'è di più. Ennahda venerdì aveva chiesto che venissero scarcerati i membri della Lega della protezione della rivoluzione implicati nei disordini di Tatouine, dove nell'ottobre scorso era rimasto ucciso per un infarto Lofti Naguedh, il capo locale del partito di Belaid: una mossa che ha incoraggiato gli estremisti ed è stata anche vista come una richiesta vagamente ricattatoria mentre si conducevano le trattative con gli altri partiti.

Dentro a Ennahda ci sono almeno due anime: una più moderata - pur con la volontà egemonica di sfruttare la maggioranza conquistata alle elezioni mettendo le mani sulle istituzioni - e un'altra più radicale che ha un atteggiamento di lassismo e persino di complicità nei confronti dei salafiti, forse con l'obiettivo di strumentalizzare gli estremisti e di cooptarli.
«Compagni che sbagliano», li ha in sostanza definiti lo sceicco Gannouchi, anche lui in un momento di difficoltà personale perché il genero, diventato ministro degli Esteri, è stato coinvolto in uno scandalo: pagava con la carta di credito del ministero la stanza occupata allo Sheraton Hotel da una signora che Ennahda si è sforzata, senza molto successo, di far passare coma una «cugina». In realtà Ennahda paga un'azione di governo inefficace, soprattutto nel campo della sicurezza e dell'economia: l'assassinio di Belaid ha scatenato l'assalto alle sedi del partito in diverse zone del Paese, da Gafsa a Madia, da Sousse a Monastir, a Sidi Bouzid, il centro dell'interno dove nel dicembre del 2010 si diede fuoco il giovane Mohammed Bouazizi, un gesto clamoroso che innescò la fine del regime di Ben Ali.

Il premier Jebali ha reagito definendo un «atto terroristico» l'uccisione di Belaid ma questo non ha frenato la rabbia popolare e dei maggiori capi politici nei confronti del partito islamico: oggi i funerali del leader dei Patrioti democratici costituiranno un altro appuntamento topico. Mentre Hollande dalla Francia e gli Stati Uniti condannano con toni veementi l'uccisione di Belaid, la "rivoluzione dei gelsomini”, primo atto della primavera araba, sfiorisce forse definitivamente, inaridita dalla frustrazione e dalla violenza.

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