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Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2013 alle ore 21:48.

Una moneta unica, così come una strategia politica, non bastano. Una componente chiave perchè l'Unione europea possa definirsi tale ed essere competitiva risiede anche nell'integrazione nel settore ricerca & sviluppo. E, in effetti, il Vecchio continente si è impegnato -da diversi decenni - per favorire le collaborazioni tra le comunità di ricerche di cui è ricca. Una storia che ha radici lontane, che si è intensificata nel 1998 con il Quinto programma quadro e il lancio nel 2000 dello Spazio europeo della ricerca (Ser). Una strategia per la crescita economica Ue, nel tentativo di superare le differenze culturali e i confini nazionali che ostacolano il libero flusso di innovazione all'interno dei paesi europei.
Ma tutto questo è servito? Pare di no, o almeno non ancora, secondo una ricerca appena pubblicata su Science. Nonostante tutti gli sforzi messi in campo, infatti, nulla nei dati sulle pubblicazioni e i brevetti analizzati negli ultimi anni mostrano un cambiamento significativo nella costruzione della cosiddetta "Ricerca dell'Unione europea". Una maggiore integrazione in effetti c'è stata, ma non quanto velocemente è cresciuta al di fuori dei confini europei.
«Nonostante tutti gli sforzi e gli incentivi monetari per promuovere l'integrazione del sistema di ricerca europeo - spiega uno degli autori, l'economista Fabio Pammoli, dell'Istituto di studi avanzati Imt di Lucca -l'Europa rimane una raccolta di sistemi nazionali di innovazione debolmente accoppiati». Il cosiddetto Ser, l'iniziativa volta a superare i confini nazionali attraverso il finanziamento diretto, la maggiore mobilità dei singoli ricercatori e le politiche di razionalizzazione per l'innovazione non ha avuto l'effetto desiderato. I ricercatori hanno analizzato l'evoluzione delle reti di collaborazione geografiche costituite dai dati sui brevetti e le pubblicazioni scientifiche nel periodo 1995-2010. I risultati hanno mostrato che le nazioni europee rimangono "isole di ricerca". Gli scienziati collaborano e si spostano all'interno deiconfini, ma raramente li attraverso.
Si tratta di risultati sorprendenti se si pensa alle considerevoli risorse che l'Ue si è impegnata a promuovere per la cooperazione scientifica transfrontaliera attraverso i programmi quadro. «L'Europa - conclude Pammoli - dovrebbe promuovere la concorrenza rispetto alla concessione dei finanziamenti, la mobilità del capitale umano qualificato, relativa sia agli studenti sia ai docenti, ma anche una maggiore integrazione dei mercati del lavoro e, infine, dei sistemi pensionistici». In una parola, una maggiore integrazione politica, anche nel campo della ricerca.
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