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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2013 alle ore 14:06.

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Le verifiche su efficienza e sicurezza delle caldaie vengono rese complesse dal sovrapporsi di normative a livello nazionale, regionale, provinciale e addirittura comunale. Secondo la regola generale la verifica fumi va fatta ogni quattro anni per gli impianti a gas con meno di otto anni, ogni due superata tale soglia di anzianità. Alcune Regioni, tuttavia, hanno fissato tempi più stretti. Poi entrano in scena le Province (e i Comuni) con bollini e autocertificazioni per il risparmio energetico.

Un mosaico difficile da comporre, anche per gli addetti ai lavori. A maggior ragione considerando che, al di là di obblighi e normative, ci sono regole pratiche da seguire per mantenere un impianto sicuro ed efficiente. «La manutenzione dovrebbe avere come priorità la sicurezza – osserva Luca Falco, presidente di Confartigianato Manutentori Bruciatoristi – ma la legislazione non ha mai chiarito quali fossero le periodicità da rispettare a tale scopo. A questa mancanza ha sopperito, in parte, la normativa sul risparmio energetico, istituendo controlli obbligatori che, nel tempo, hanno compreso importanti verifiche sulla sicurezza, contribuendo a creare la consapevolezza che a una corretta manutenzione corrispondono caldaie meno pericolose e minori consumi».

La normativa nazionale (Dlgs 192/05 e 311/06) indica le tempistiche massime per i controlli sul risparmio energetico: ogni quattro anni, ad esempio, per generatori a gas esterni (sotto i 35 kW) con meno di otto anni di vita, due anni per quelli più vecchi. Alcune Regioni, però, hanno legiferato in via più restrittiva. Come ad esempio la Lombardia, che ha dimezzato i termini per la verifica fumi (rispettivamente due anni e un anno). Oppure l'Emilia-Romagna, che ha lasciato invariata la cadenza, ma ha abbassato a quattro anni la soglia di anzianità per i test biennali.

A questo quadro già complesso si aggiungono le delibere provinciali e comunali (centri oltre 40mila abitanti) che regolamentano le campagne di autocertificazione, alle quali i cittadini aderiscono pagando un corrispettivo (variabile) per ottenere il cosiddetto "bollino" che il manutentore applica sui verbali di intervento.

«Così ci sono anche zone – osserva Falco – con cinque o sei sistemi diversi in un raggio di 50 chilometri». Poche certezze anche per le sanzioni: «L'unica multa da far pagare a chi non ha il bollino – continua Falco – è il costo della verifica. La sanzione, invece, scatta solo se non si rispettano i tempi di legge».

Al di là degli obblighi, la manutenzione va fatta per questioni di sicurezza e, si spera, per ridurre consumi e inquinamento. Sul primo fronte la guida da seguire è il libretto d'impianto rilasciato all'installazione (Dlgs 37/2008). In assenza di questo, valgono le istruzioni previste dal costruttore dei singoli componenti dell'impianto. «L'utente – afferma Laurent Socal, presidente Associazione nazionale termotecnici e aerotecnici – deve sapere che chi installa deve dare le informazioni necessarie alla manutenzione. I controlli frequenti servono soprattutto a prevenire il decadimento dell'impianto, mentre per ridurre i consumi sono poche le operazioni utili, come la regolazione del minimo o la pulizia di caldaia e circuito aria».

A sottolineare i benefici di verifiche puntuali è Adiconsum: il segretario generale Pietro Giordano che conferma come «ai consumatori interessino soprattutto sicurezza e risparmi. Con manutenzioni una volta l'anno, almeno per caldaie oltre i 4 anni, l'impianto funziona meglio, ha prestazioni migliori ed effetti positivi in bolletta». Ma quanto dura e quanto costa un controllo di routine? Qui le opinioni di dividono. Per le sigle consumatori poco più di mezz'ora a un costo di circa 60 euro; per i tecnici ci vuole almeno un'ora e si arriva a 100 euro.

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