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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2013 alle ore 08:28.

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Il dossier nucleare nordcoreano torna di prepotenza alla ribalta con un nuovo, più minaccioso test realizzato da Pyongyang. Ma insieme alla consueta condanna occidentale e del Consiglio di sicurezza dell'Onu, riunitosi d'urgenza, suscita anche le reazioni critiche della Cina, la potenza tradizionalmente più amica, che ha convocato l'ambasciatore nordcoreano a Pechino.
Alle 11.57 di ieri è stata registrata un'attività sismica di magnitudo 4,9 nei pressi del sito strategico di Punggye-ri, al confine con la Cina. Circa tre ore dopo, l'agenzia di stato nordcoreana Kcna ha confermato il successo di un test nucleare sotterraneo (il terzo, dopo quelli effettuati nel 2006 e nel 2009) «in piena sicurezza», utilizzando «un dispositivo nucleare in miniatura, più leggero ma più potente che in passato». Si parla di un ordigno da 6-7 chilotoni: per avere un'idea dell'ordine di grandezza, la bomba su Hiroshima era da 15 chilotoni. Più tardi il ministero degli Esteri di Pyongyang ha definito il test una misura di «autodifesa» in risposta alla «perdurante ostilità» americana. Il regime nordcoreano lo aveva del resto preannunciato già il mese scorso, dopo che le Nazioni Unite avevano ampliato le sanzioni in risposta al lancio di un missile a lunga gittata.
Ma a che punto è il programma nucleare di Pyongyang? Secondo gli esperti, il Paese ha abbastanza plutonio per produrre da sei a 18 bombe atomiche (i precedenti test avrebbero utilizzato appunto plutonio come materiale fissile), sta lavorando per realizzare un ordigno con l'uranio ma, soprattutto, per mettere a punto una tecnologia che ne consenta il lancio tramite un missile. In parole povere, costruire una testata atomica sufficientemente piccola. A progressi in questo senso sembrerebbero alludere i riferimenti del regime di Kim Jong-un a un dispositivo miniaturizzato.
Il Consiglio di sicurezza dell'Onu, riunito ieri pomeriggio, ha duramente condannato il test e si è impegnato a considerare «misure appropriate» di risposta. Gli Stati Uniti, che per bocca del segretario alla Difesa Leon Panetta hanno definito la Corea del Nord «una seria minaccia per gli Stati Uniti», premono per una risoluzione che ampli le sanzioni già in atto per gli esperimenti del 2006 e del 2009. Un impegno comune in questo senso, contro un'azione «fortemente provocatoria», è stato ribadito ieri da Barack Obama in una telefonata con la leader sudcoreana Lee Myung-bak in cui il presidente ha riaffermato l'impegno americano a difendere Seul, anche attraverso «l'ombrello nucleare». Un inasprimento delle sanzioni Onu potrebbe tuttavia richiedere settimane, perché la Cina teme che nuove misure inneschino nuove rappresaglie da parte del regime di Kim Jong-un e teme anche un ulteriore indebolimento dell'economia nordcoreana, con il rischio di un'ondata di profughi che si potrebbero riversare in territorio cinese.
Proprio da Pechino, tuttavia, sono arrivate ieri parole insolitamente dure nei confronti del test, che - ha dichiarato il ministro degli Esteri Yang Jechi - «la Cina ha fortemente disapprovato e a cui era risolutamente contraria». L'ambasciatore nordcoreano in Cina è stato convocato al ministero degli Esteri, dove gli è stata presentata la «protesta solenne» di Pechino. Dura anche Mosca: «Questo test - ha sottolineato il ministro degli Esteri Serghej Lavrov - deve essere condannato. Dimostra che la leadership nordcoreana ha ancora ignorato la legge internazionale e violato le risoluzioni dell'Onu e tutte queste cose meritano la condanna e un'adeguata reazione».
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