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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2013 alle ore 12:10.

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«È bello che per questo processo d'appello si muova cosi' tanta gente, vuol dire che il dramma dell'amianto non e' dimenticato». Con queste parole Romana Blasotti, diventata in questi anni simbolo della lotta all'amianto, ha commentato l'avvio dell'appello per il processo Eternit che si svolgerà' a Torino. Lei a Casale Monferrato, sede storica di uno dei principali stabilimenti Eternit in Europa, ha perso marito e figlia e la sua storia somiglia a quella delle migliaia di parti civili, circa 6.300, che si sono costituite nel processo.

Fuori dal tribunale, la manifestazione organizzata dall'Afeva, l'associazione dei malati e delle famiglie delle vittime dell'amianto, circa 500 persone, arrivate questa mattina per seguire la riapertura del processo. Tra loro una delegazione francese e una belga, a testimoniare l'impegno per la messa al bando dell'amianto in Europa e nel mondo intero.

Esattamente un anno fa la condanna a 16 anni di reclusione per i vertici franco-belga del colosso Eternit, Stephan Schmidheiny e Jean-Luis de Cartier, per i reati di disastro ambientale doloso e omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. E al pagamenti di oltre 90 milioni di euro a titolo di provvisionale nei confronti di 800 parti civili (ammalati di patologie correlate all'esposizione all'amianto e parenti delle vittime), associazioni e enti locali.

La prima udienza dell'appello, presieduta dal giudice Alberto Ogge', si e' aperta con il lungo appello degli avvocati difensori delle parti e andrà avanti a ritmo serrato, dal lunedì al mercoledì, tutte le settimane, fino presumibilmente a maggio. Obiettivo degli avvocati difensori e' ribaltare la sentenza di primo grado e chiedere l'assoluzione dei condannati «con formula ampia», oltre che la sospensione sulle azioni risarcitorie.

La stessa Procura di Torino - rappresentata dal sostituto procuratore Raffaele Guariniello, dai pm Sara Panelli e Gianfranco Colace, oltre al Procuratore generale Ennio Tomaselli - ha appellato la sentenza di primo grado per chiedere una condanna piu' pesante per i due vertici della multinazionale e per far rientrare nel riconoscimento del reato di disastro non soltanto gli stabilimenti di Casale e Cavagnolo, ma anche Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli).

«Quella dell'amianto e' una tragedia in corso - spiega Bruno Pesce, coordinatore dell'Afeva - basti pensare che dalla chiusura delle indagini, nel 2009, a oggi abbiamo registrato 160 nuovi casi di mesotelioma, la forma di tumore piu' aggressiva. A Casale stanno morendo i cinquantenni, i bambini che un tempo hanno giocato con la polvere d'amianto».

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