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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2013 alle ore 11:21.

È il sesto calo congiunturale negativo, con una caduta del Pil rispetto all'analogo periodo del 2011 del 2,7%, che passa al -2,2% se si considera la media annua. Non sono dati che stupiscono, quelli comunicati dall'Istat con riferimento al quarto trimestre dello scorso anno. Già la Banca d'Italia ha stimato una contrazione del reddito nazionale del 2,2%, e ha indicato per l'anno in corso una situazione di perdurante recessione con il Pil che resterà negativo al -1 per cento. Dati che differiscono dalle stime messe a punto dal Governo nel settembre dello scorso anno con la Nota di aggiornamento al "Def", quando la caduta del Pil per il 2012 venne collocata a quota -2,4%, mentre per l'anno in corso il quadro ipotizzato era più ottimistico (-0,2%). Questione di decimali, certamente, nella constatazione che comunque vada anche quest'anno sarà recessione. Spiragli di ripresa forse cominceranno aemergere nella parte finaledel 2013.
La vera agenda è la crescita
Dati che porranno con assoluta urgenza sul tavolo del prossimo governo il tema prioritario del rilancio dell'attività produttiva. Certo, pare illusorio immaginare che la locomotiva italiana possa ripartire da sola in un contesto europeo caratterizzato da una perdurante stagnazione. Per quel che ci compete, l'urgenza è provare a invertire le aspettative, dando un po' di ossigeno alla domanda interna, così da agganciare la ripresa europea quando vi sarà e imprimere all'economia uno slancio più robusto. Siamo fermi da troppo tempo. Già prima dell'esplodere della "grande crisi", la nostra economia registrava tassi di crescita inferiori di un punto e mezzo-due punti rispetto alla media europea. È un motore inceppato che occorre rimettere in sesto al più presto. Non sembra esservi sufficiente consapevolezza, in questa scadente campagna elettorale, che la partita da giocare non sia su illusorie e improbabili promesse di riduzioni delle tasse, quanto su ricette credibili per invertire il ciclo che condanna da un decennio la nostra economia a una magra sopravvivenza. Anche la polemica sull'eventuale manovra bis, che si renderebbe necessaria per far fronte al peggioramento del deficit provocato proprio dall'ulteriore rallentamento del Pil, sarebbe automaticamente ridimensionata. Già perchè, in presenza del pareggio di bilancio in termini strutturali e di un avanzo primario tra il 4 e il 5% del Pil, basterebbero tassi di crescita nominali dell'economia del 2% annui per ridurre "in automatico" il nostro ingente debito pubblico senza ricorrere a ulteriori e certamente depressive manovre correttive.
Come far ripartire il motore dell'economia
Nella constatazione che la crescita non la si promuove certo per decreto, e che l'inversione del trend sia frutto di una pluralità di fattori, di certo occorre mettere in campo al più presto alcune misure per ridare ossigeno all'economia. Le priorità: risolvere l'annosa questione dei crediti commerciali che le aziende vantano nei confronti della pubblica amministrazione (60-70 miliardi); avviare da subito una massiccia operazione di semplificazione degli adempimenti burocratici e amministrativi che ostacolano l'attività d'impresa; mettere in campo una seria, graduale, credibile riduzione della pressione fiscale, con priorità assoluta al taglio del cuneo fiscale e dunque in direzione del lavoro; avviare un'operazione mirata e selettiva di riduzione della spesa pubblica. Quattro fattori decisivi, per far ripartire la nostra economia. Sul fronte del deficit, non sembrano esservi al momento preoccupazioni di sorta, anche alla luce della lettera inviata dal Commissario agli Affari Economici, Olli Rehn ai ministri finanziari dell'eurozona, in cui si indica la rotta per i prossimi mesi. In sostanza, se il Pil peggiorerà in modo repentino, quei paesi che si sono impegnati in piani di stabilizzazione delle proprie finanze pubbliche, potrebbero beneficiare di tempi più lunghi per rientrare dalla posizione di disavanzo eccessivo. Per noi la sfida in realtà è ancora più complessa, poichè occorrerà assicurare che il pareggio di bilancio (al netto delle variazioni del ciclo e delle una tantum) venga realizzato quest'anno e si consolidi negli anni a venire. Lo prevede il vincolo costituzionale, ma in realtà il tema con è propriamente questo. Per un Paese con un debito pubblico al 126% del Pil, il pareggio di bilancio (sostenuto da un robusto avanzo primario) è condizione indispensabile per avviare la riduzione graduale del proprio pesante passivo.
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