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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2013 alle ore 19:05.

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Rinunciare alle grandi navi costerebbe a Venezia 365 milioni di euro all'anno, il 5,4% del Pil del Comune, e 6.800 posti di lavoro. I dati - elaborati dalle università di Padova e Ca' Foscari - sono stati al centro del dibattito organizzato per fare il punto sulle prospettive di sviluppo economico e occupazionale dell'industria crocieristica internazionale, e sul ruolo della città, dove infuria la polemica sull'impatto ambientale provocato dai colossi del mare.

Grande assente il sindaco Giorgio Orsoni, per l'Autorità portuale l'attuale posizionamento del Terminal di Marittima «sta alla base del successo dello scalo veneziano come "homeport", porto di arrivo e partenza, in quanto possiede contemporaneamente quattro requisiti fondamentali: accessibilità nautica, accessibilità merci, accessibilità passeggeri ed efficiente connessione con l'aeroporto internazionale Marco Polo», ha spiegato Paolo Costa, presidente di Apv.

Il 90% del valore generato dal traffico crocieristico (453 milioni) è legato alle navi di stazza superiore alle 40mila tonnellate. Un comparto economico con un impatto tale da «dover essere preservato, pur rispettando le indicazioni imposte dal Decreto Clini Passera "Rotte sicure" del 2 marzo 2012», ha sottolineato.

Il testo vieta il transito attraverso il canale della Giudecca e il bacino di San Marco delle navi adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori a 40mila tonnellate di stazza lorda, e si applica «a partire dalla disponibilità di vie di navigazione praticabili e alternative a quelle vietate».

Gli itinerari alternativi
E proprio lavorando sulle alternative, Capitaneria di Porto e Magistrato alle Acque hanno individuato alcune possibilità, dalla realizzazione di un canale di navigazione a sud della Giudecca al Canale Contorta Sant'Angelo (per un costo di 65 milioni) o al Vittorio Emanuele III (con il necessario allargamento della sezione per un costo di circa 600 milioni). L'ipotesi di una stazione Marittima a Marghera, a nord di Fusina, invece presenta – secondo le analisi – limiti invalicabili: dimensioni dei canali e dei bacini di evoluzione inadeguati, terminal commerciali già in uso, e soprattutto l'interferenza fra traffici merci e passeggeri, con costi economici e sociali pari a 10 milioni di tonnellate e 2mila occupati in meno, oltre che tempi lunghi di realizzazione.

Se il mantenimento della Marittima è la scelta «razionale e vincente», alle ipotesi per raggiungerla sul tappeto va aggiunta quella proposta dal presidente di Confindustria Venezia Luigi Brugnaro, che ha ufficializzato una quarta alternativa al passaggio delle grandi navi nel bacino di San Marco: «Per un primo tratto si potrà percorrere il canale dei petroli, per poi prendere la variante all'isola esterna delle Trezze fino a ricongiungersi con il canale Vittorio Emanuele III, in parallelo al ponte della Libertà; questa soluzione permetterebbe d'impattare meno sull'equilibrio idraulico generale della laguna e, soprattutto, di incidere in misura più contenuta, a beneficio della sicurezza della navigazione, con il traffico commerciale diretto a Porto Marghera e in uscita da esso».

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