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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2013 alle ore 14:05.

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Quando un atleta del livello di Oscar Pistorius finisce in uno scandalo (o come nel suo caso, in un processo con un'accusa di omicidio), uno dei degli effetti più immediati è la cessazione dei contratti di sponsor. E infatti la Nike ha annunciato che il campione paralimpico sudafricano non comparirà più nei suoi spot pubblicitari. Non sarà più la "pallottola in canna", come recitava uno degli ultimi slogan Nike che vedevano protagonista proprio il sudafricano.

Il marketing è marketing: ha le sue regole, i suoi trucchi, la sua disciplina. Era impensabile che la multinazionale non chiudesse i rapporti con Pistorius. E così è stato. Stamattina, sul sito dell'azienda è comparso questo messaggio: "Nike ha sospeso il suo contratto con Oscar Pistorius. Crediamo che abbia diritto a un processo equo e continueremo a monitorare la situazione da vicino". Ergo: per ora addio, se ti assolvono ne riparliamo.

I precedenti
In realtà non è la prima volta che Nike si trova a dover gestire una grana simile. Già in altre occasioni il colosso dell'abbigliamento sportivo cessò rapporti con atleti finiti nei guai. Guai diversi da quelli di Pistorius, certo. Ma comunque lesivi dell'immagine dell'atleta, e di riflesso del marchio.

Un anno fa accadde con Lance Armstrong, campione di un ciclismo sporco, fatto di doping e alterazioni. Quando si scoprì che l'americano si era dopato per vincere i suoi sette Tour de France, la Nike lo mollò all'istante. Per lo stesso motivo cessò il rapporto anche con Marion Jones, la statunitense più forte della storia dell'atletica femminile. Anche lei si dopava. Anche con lei Nike usò il pugno duro.

Sempre nel 2007 finì nei guai Michael Dwayne Vick, un extraterrestre del football americano. Finì in carcere con l'accusa di organizzare combattimenti fra cani. La Nike lo liquidò in poche ore.

Nel 2011, invece, toccò a Joe Paterno, il coach di Football americano più vincente della storia. Venne accusato di aver abusato di un minore. E la Nike non ebbe clemenza, strappando ogni contratto.

La redenzione di Tiger Woods
La Nike, insomma, ha sempre reagito con fermezza agli scandali che hanno coinvolto i "suoi" atleti. Sempre, tranne che in un'occasione. Il colosso americano non se la sentì, nel 2009, di scaricare Tiger Woods. Il golfista più forte di sempre, con la sua aria di atleta irreprensibile, finì in uno scandalo senza fine fatto di sesso e tradimenti. Woods fu costetto ad ammettere i suoi rapporti extraconiugali e da stella del golf diventò uomo copertina dei giornali di gossip.

Eppure in questo caso la Nike decise di non mollarlo. Anzì, utilizzò la storia di Woods per far passare il concetto di "redenzione". Venne girato uno sport in cui Woods compariva in bianco e nero. E in sottofondo si sentiva la voce del padre del golfista, morto da qualche anno, che gli chiedeva "Hai imparato dagli errori?".
In quelle settimane il fondatore di Nike, Phil Knight, disse di Woods: "Quando avrà finito la sua carriera, queste rivelazioni saranno considerate come un aneddoto". Woods è ancora in pista.

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