Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2013 alle ore 09:42.

My24

La Cina si piega alla carbon tax. L'inquinamento record del Paese, ormai un'emergenza sanitaria e sociale, ha ormai convinto il Governo a introdurre un set di politiche fiscali a tutela dell'ambiente, compresa un'imposta sull'emissione di anidride carbonica, secondo quanto riferito martedì dal capo del dipartimento fiscale del ministero delle Finanze, Jia Chen. Pechino sta anche pensando di tassare i prodotti più energivori, come le batterie e i jet privati. La leva del fisco sarà utilizzata anche per ridurre il consumo delle risorse naturali del Paese, spinto dalla sua fame d'energia ad accordi commerciali in ogni parte del pianeta. Per esempio, saranno aumentate le tasse sulla vendita di carbone e un'imposta colpirà anche il consumo di acqua.
La riforma manderebbe in soffitta il meccanismo oggi in vigore, basato su commissioni pagate dalle aziende sulle emissioni inquinanti che eccedono i parametri fissati dalle autorità. Un sistema che colpisce solo i gas solforosi, mentre l'anidride carbonica non è soggetta a imposte.

Verso un'economia più efficiente
Il ministero delle Finanze non si spinge ancora a definire un'agenda per queste riforme. Ma gli effetti della tassazione delle forme meno efficienti di consumo e produzione di energia è in linea con il programma del Governo di far fare un salto di qualità al sistema economico. Per evitare di pagare tasse sempre più salate, le imprese dovranno ristrutturare i propri processi, adottando tecnologie più moderne. A beneficiarne non sarà soltanto l'ambiente, ma la stessa competitività delle aziende. Al tempo stesso, un'economia più "verde" ridurrebbe i costi economici dell'inquinamento, una bolletta pari al 10% del Pil negli ultimi 10 anni, secondo la Banca mondiale (il 6,5% per l'inquinamento atmosferico, il 2,1% per quello dell'acqua e l'1,1% per il suolo - "China 2030").

Senza una politica energetica più efficiente, inoltre, la Cina sarà sempre più dipendente dalle importazioni: la stessa Banca mondiale prevede che entro il 2030 dovrà trovare all'estero il 75% del petrolio che consuma e il 50% del gas.
La Cina è il più grande consumatore di energia al mondo, uno dei maggiori produttori di gas serra e il primo di anidride carbonica. Nonostante la sua efficienza energetica sia migliorata a ritmi superiori a qualsiasi altro Paese negli ultimi venti anni, resta tra i più arretrati.

Il Governo, sulla carta, si è impegnato a ridurre la sua dipendenza dal carbone tagliando del 40-45% nel 2020, rispetto ai livelli del 2005, le emissioni di anidride carbonica. Già nel 2009, un think tank del ministero delle Finanze aveva proposto di imporre, a partire dall'anno scorso, una carbon tax di 10 yuan (1,2 euro, al cambio attuale) per tonnellata di anidride carbonica, da portare a 50 yuan entro il 2020. Tutto rimandato per colpa della crisi mondiale e del rallentamento della crescita cinese.

Pechino nella nebbia
Della credibilità degli impegni presi dalla Cina si può dubitare, l'emergenza invece è sotto gli occhi di tutti. A cominciare dalla capitale, afflitta da un traffico automobilistico crescente (più di cinque milioni di veicoli), dai fumi delle fabbriche a carbone della regioni vicine, dalle tempeste di sabbia che si sollevano dai cantieri edili. L'inizio del 2013 è stato drammatico. A gennaio, per 21 giorni, i 19,6 milioni di abitanti di Pechino sono rimasti avvolti in una nube irrespirabile, una nebbia da smog, con visibilità ridotta anche a meno di 200 metri. Il 18 febbraio, alla riapertura delle attività economiche dopo le vacanze per il Capodanno, il fenomeno si è ripresentato, costringendo le autorità a chiudere per alcune ore l'accesso alle autostrade e a cancellare 16 voli. Alle 9 del mattino, le polveri fini (meno di 2,5 micron) superavano i 200 microgrammi per metro cubo, quasi dieci volte il limite raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità (25). Nulla rispetto al record del 12 gennaio: 993 microgrammi. E Pechino non è nemmeno la città più inquinata della Cina. Secondo il ministero dell'Ambiente, sono ben nove le metropoli in condizioni peggiori, sette sono nella provincia dell'Hebei, uno dei motori dell'industria dell'acciaio.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi