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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2013 alle ore 13:21.

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Al grido di "non aggiungiamo l'austerità alla recessione", la Francia chiederà e otterrà – primo Paese "sano" d'Europa – il rinvio di un anno, dal 2013 al 2014, dell'obbligo di portare al 3% la quota di deficit sul Pil.

Niente di grave, ci mancherebbe. Anche se sarebbe stato preferibile un atteggiamento più umile da parte di Parigi, che invece fino a pochi giorni fa ha continuato a bollare di disfattismo chiunque si permettesse di segnalare che quell'obiettivo era palesemente impossibile da centrare.

Ma il problema, ovviamente, è un altro. Quali garanzie ci sono che la Francia farà quello che deve/dovrebbe fare? Non tanto che riduca nei nuovi tempi concordati con la Commissione il ratio deficit/pil, quanto che lo faccia nel modo giusto. E cioè tagliando la spesa pubblica.
Se il buongiorno si vede dal mattino, se si deve giudicare dai fatti e non dai proclami, quelle garanzie non ci sono proprio. Alla vigilia della presentazione delle stime di Bruxelles – ma quando i numeri erano già ampiamente filtrati – il ministro della Funzione pubblica Marylise Lebranchu ha avuto la brillante idea di annunciare che dal 2014 verrà ripristinato il pagamento del primo giorno di malattia per i dipendenti pubblici.

Va chiarito che in Francia il sistema di welfare non remunera, da tempo, i primi tre giorni di assenza per malattia dei lavoratori del settore privato (nel 64% dei casi è l'azienda a provvedere). E dalla fine del 2011 il primo, appunto del pubblico impiego. Decisione impopolare presa dal Governo Fillon/Sarkozy in parte per ridurre la spesa pubblica e in parte per diminuire l'assenteismo (a dire la verità di poco superiore nel pubblico rispetto al privato e basso in entrambi i casi).

La decisione della Lebranchu non è di quelle che sconvolgono i conti (per quanto si tratta comunque di trovare altri 130 milioni all'anno), ma è sconcertante per il timing – il meno opportuno possibile - e ancor di più perché emblematica di quanto sarà difficile tagliare davvero e a sufficienza la spesa pubblica, se l'approccio è questo (cioè quello di cercare di garantirsi la pace sociale, ridando privilegi a una categoria alla quale già non mancano). Da parte di un Governo che sta, è vero, facendo cose buone. Ma ne ha fatte tante di meno buone: ripristinando parzialmente la pensione a 60 anni, cancellando il blocco di metà del turn-over nelle amministrazioni statali, annunciando l'assunzione di 60mila insegnanti.

In nove mesi ha imposto nuove tasse per 27 miliardi e promesso tagli alla spesa per 12 (obiettivo che non verrà raggiunto). Uno squilibrio cui il Governo ha già cercato di rimediare e dovuto, lo ha ammesso a denti stretti il ministro dell'Economia Pierre Moscovici, alle "resistenze" incontrate.
Non aggiungiamo austerità a recessione. Giusto. Ma un po' più di coraggio nell'affrontare il malumore dei suoi cari, numerosi, garantiti funzionari, questo Parigi lo deve dimostrare. A Bruxelles, a Berlino e al resto d'Europa.

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