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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2013 alle ore 15:49.

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Non aiuta a fare chiarezza la posizione del governo, ribadita ieri dal sottosegretario alla Difesa Gianluigi Magri, che considera l'F-35 ''attualmente senza alternative'' ribadendone gli ''importanti ritorni occupazionali e industriali per il Paese''. Nello stabilimento di Cameri dove Alenia Aermacchi produce parti delle ali e dove verranno assemblati gli aerei italiani Magri ha parlato dell'impiego "fino a 1.500 addetti e il coinvolgimento di oltre 60 aziende italiane. Di queste, le prime 40 occupano oltre 10.000 persone che avranno, nei prossimi anni, il posto di lavoro garantito dal progetto F35".

Numeri in realtà tutti da verificare nei prossimi anni poiché per ora i ratei produttivi, i contratti e i posti di lavoro garantiti sono molto pochi. La cadenza annuale media di produzione a Cameri degli aerei destinati all'Italia sarà nel periodo 2015-2019 di 9,3 aerei all'anno (0,7 aerei al mese) e nel periodo 2020-2027 di 8 aerei all'anno (0,6 al mese), a fronte di una capacità a regime di 24 aerei all'anno, 2 al mese. Anche per le ali gli impianti di Cameri sembrano destinati a lavorare a basso regime. Delle 1.250 ali previste all'origine e delle 800 garantite da Lockheed Martin finora ne sono state ordinate solo 100 per coprire le esigenze fino all'esaurimento nel 2018 degli 11 lotti annuali. In pratica 15,3 ali all'anno per sei anni, pari a 1,27 al mese, contro una capacità a regime, dichiarata da Alenia Aermacchi nel marzo 2012, di 96 ali all'anno, 8 ali al mese. I 140 dipendenti di Alenia Aermacchi oggi al lavoro a Cameri erano precedentemente assegnate al Typhoon, il cacciabombardiere del consorzio europeo Eurofighter di cui l'industria italiana è progettatrice, produttrice ed esportatrice la cui commessa è stata ridotta in Italia da 121 a 96 aerei (ma altri 24 già in servizio potrebbero venire venduti) per acquisire l'F-35.

Ha un senso trasformare la nostra industria hi-tech strategica da produttrice di aerei da combattimento a sub-fornitore delle aziende statunitensi? Al di là dei 2,5 miliardi di euro già spesi dall'Italia nel programma negli ultimi dieci anni ha senso metterci sul piano militare nelle mani degli Stati Uniti? Perché il "cuore elettronico" che gestisce l'F-35 resterà a esclusiva gestione del personale americano per garantire la sicurezza delle tecnologie adottate e quindi gli italiani non avranno "piena sovranità" sugli aerei acquisiti. Perché invece non investire risorse sullo sviluppo di droni da combattimento europei (programma che coinvolge pienamente la nostra industria) con i quali rimpiazzare tra 20 anni i Typhoon che sono oggi anche ottimi aerei da attacco specie se si tiene conto della scarsa sofisticazione tecnologica dei "nemici" potenziali?

Non si comprende perché la Germania rappresenti in generale un esempio di oculata politica industrial e di attenta gestione finanziaria ma il suo modello venga ignorato quando si parla di aerei da combattimento. Con un bilancio della Difesa più che doppio di quello italiano i tedeschi non acquisiranno l'F-35 ma utilizzeranno un solo aereo per l'intercettazione e l'attacco, il Typhoon di cui sono anche loro produttori. L'Italia invece avrà una doppia linea di velivoli, Typhoon ed F-35, con un raddoppio dei costi logistici che non possiamo permetterci con i fondi previsti nei prossimi anni. Come per le ricadute industriali e occupazionali anche in relazione ai costi esiste poi un problema di trasparenza. Il sottosegretario Magri ha affermato ieri che l'aereo avrà "un effettivo costo per aeromobile inferiore a quello dell'Eurofighter'' ma per ora i dati forniti sono contraddittori. Gli 80 milioni di dollari ad esemplare comunicati da Segredifesa al Parlamento un anno or sono erano saliti nell'ottobre 2012 (fonti ufficiali del Pentagono) a 127,3 milioni di dollari (99 milioni di euro) ad esemplare per la versione A e a 137,1 milioni di dollari (106,7 milioni di euro) per la versione B. Impossibile poi definire i costi dei primi tre esemplari ordinati dall'Italia poiché il prezzo verrà stabilito da una trattativa tra Washington e il governo italiano ma i velivoli di quel lotto (il 6° di pre-produzione) costeranno alle forze americane in media 159 milioni di dollari ognuno escluso il motore che da solo costa circa 35 milioni di dollari: probabile quindi un costo complessivo di oltre 192 milioni di dollari per ognuno dei tre aerei, cioè 145 milioni di euro. Quando la produzione sarà a regime il prezzo scenderà e la Difesa valuta che gli ultimi 35 aerei dei 90 ordinati dall'Italia costino appena 60 milioni di dollari ognuno ma pochi giorni or sono in una conferenza stampa a Roma Lockheed Martin ha riferito di un costo di 67 milioni di dollari a esemplare entro il 2018.

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