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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2013 alle ore 06:36.

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ROMA
Che si chiamino «exit», «in house» o «instant» poll cambia poco. Così come se vengono realizzati fuori dai seggi, al telefono o via internet. Sono 20 anni che i numeri forniti "a caldo" dagli istituti di statistica non coincidono con le prime proiezioni o con i dati finali del Viminale. O con entrambi. Con sproporzioni tanto più rilevanti quanto più è incerto il quadro politico. Un copione che si è ripetuto anche ieri per il Senato. Alle tre è in vantaggio il centrosinistra; un'ora dopo passa in testa il centrodestra e ci rimane fino alle sette di sera quando i rapporti di forza si ribaltano nuovamente per riavvicinarsi ai risultati dello spoglio sezione per sezione. Un'alternanza frenetica che si riflette anche sulle reazioni dei diretti interessati in tv, sul web o sui social media. Con il sorriso dei presunti vincitori che si trasforma in ghigno e il low profile degli sconfitti annunciati che muta in baldanza. Salvo scoprire a tarda sera che dalle urne è uscito un sostanziale pareggio.
È dalle amministrative del 1993 che i sondaggi post-voto sono nell'occhio del ciclone. All'epoca si votava per le comunali e la Doxa fu costretta a scusarsi per un divario superiore al 5% tra gli «exit poll» e i risultati definitivi. Stesso discorso per gli «in house poll» errati di Datamedia sulle regionali '95 o per il referendum sul sistema elettorale del '99 con il mancato raggiungimento del quorum formalizzato solo a tarda notte. Fino ai casi più recenti del 2006 – con il centrosinistra dato prima per trionfatore, poi per sconfitto e infine per vincente di un soffio – e del 2008.
Si arriva così al balletto di cifre di ieri. Alle 15.00 in punto gli instant poll realizzati dall'Istituto Piepoli per la Rai accreditano la coalizione di Pierluigi Bersani del 36-38% al Senato, l'alleanza Pdl-Lega al 30-32% e i 5 Stelle al 17-19 per cento. Ed è proprio la sottovalutazione del movimento di Beppe Grillo – dovuto forse al fatto che gran parte delle interviste vengono fatte tramite telefono fisso mentre i giovani che hanno votato in massa Grillo usano esclusivamente i cellulari – a rivelarsi decisiva nel fallimento delle previsioni. Un errore commesso anche dall'Istituto Tecnè per Sky. Che, più o meno in contemporanea, offre uno scenario analogo: Pd-Sel al 37%, centrodestra al 31 e grillini al 16,5. Ma è soprattutto sui seggi che gli instant poll si rivelano un azzardo. Tant'è che all'inizio si parla di 169 scranni a Palazzo Madama per il centrosinistra in caso di vittoria in Lombardia.
Ma alle 16.00 già si capisce che non sarebbe finita così. Le prime proiezioni realizzate dagli stessi istituti riscrivono il film iniziale. Per Piepoli in testa c'è il centrodestra con il 31% davanti al centrosinistra con il 29,5 e ai 5 Stelle con il 25,1; per Tecnè, invece, Pdl e Lega sono al 31%, Pd-Sel al 29,7 e Grillo al 26. Fa eccezione Ipr per Mediaset che, dall'inizio alla fine, assegna la prima posizione all'asse Pd-Sel.
Le distanze vengono sostanzialmente confermate dalle rilevazioni che si succedono di mezzora in mezzora. Nonostante lo spoglio del Viminale dia da subito in testa il centrosinistra. Almeno per il dato nazionale visto che nelle regioni-chiave (Lombardia, Sicilia, Campania) è in vantaggio il centrodestra. Fino alle 19 però quando si verifica il controsorpasso. In vetta tornano Bersani e Vendola per restarci fino alla fine. Ma solo nei dati complessivi poiché nelle singole circoscrizioni prevale una situazione a macchia di leopardo (o, se si preferisce, di giaguaro). Grazie ai premi di maggioranza, che il "porcellum" al Senato assegna su base regionale, a Palazzo Madama la maggioranza non c'è. Alla Camera sì ed è di centrosinistra. Risultato: fino a prova contraria l'Italia è ingovernabile.
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