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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2013 alle ore 06:39.

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È durata un mese la «disaffezione» delle banche italiane per i titoli di Stato, forse anche meno. Giusto il tempo di vendere le obbligazioni a fine dicembre per incassare le plusvalenze e ricomprarle qualche settimana dopo. Lo confermano i dati diffusi ieri dalla Banca centrale europea (Bce) sui bond sovrani dell'area euro detenuti dagli istituti di credito del Vecchio Continente. La quota degli italiani è infatti di nuovo aumentata fino al livello record di 377,6 miliardi a fine gennaio, 18,5 miliardi in più rispetto al mese precedente quando invece era scesa di 13,4 miliardi.
Tutto insomma autorizza a pensare che vi sia stato il più classico dei «window dressing» a cavallo di fine anno, si è tentato di abbellire i bilanci bancari vendendo titoli acquistati in precedenza a un prezzo inferiore e ci si è ricoperti nei giorni successivi. Un'operazione del resto abbastanza semplice, visto che le banche italiane sono state acquirenti nette di debito sovrano, soprattutto quello del nostro Paese, per tutti i primi undici mesi del 2012 (con l'eccezione di agosto, per un totale di quasi 106 miliardi) e a valori probabilmente più bassi di quelli registrati a dicembre.
Del resto, quanto accaduto in quei giorni appariva evidente anche dal comportamento dei rendimenti (e dei prezzi) dei BTp: sotto pressione a fine dicembre e non soltanto per il timore generalizzato provocato dal «fiscal cliff» negli Stati Uniti (quando i tassi del decennale erano risaliti al 4,53% dal minimo del 4,38%), in forte ripresa nei primi dieci giorni del 2013 (quando il rendimento è precipitato al 4,12%, minimi da 3 anni). Anche se su scala minore in Spagna si è fatto probabilmente lo stesso con i «Bonos», visto che a gennaio fra le banche iberiche si sono registrati acquisti netti di titoli di Stato pari a 5,3 miliardi di euro dopo le vendite per 4,1 miliardi a dicembre.
Più in generale, i dati della Bce sulle controparti della massa monetaria M3 evidenziano a gennaio, oltre ai nuovi afflussi generalizzati sui titoli di Stato, una minor frammentazione del settore finanziario a livello europeo. All'inizio del 2013 i depositi hanno infatti continuato a riaffluire verso le banche dei Paesi «periferici», con l'eccezione di Cipro e Portogallo, dopo lo stop subito da molti di questi nella prima parte del 2012. Le note dolenti arrivano invece dagli impieghi, che rimangono sotto tono in tutta l'Europa a causa del duplice effetto della debolezza della domanda e del crescente rischio di credito in un contesto economico di recessione.
La dinamica dei prestiti al settore privato ha in particolare accusato un'ulteriore frenata, registrando a gennaio a livello europeo una contrazione dello 0,9% su base annua (la nona consecutiva) dopo il -0,7% del mese precedente. Un dato che, secondo alcuni analisti, non farebbe escludere nuovi interventi di sostegno da parte della Bce, la cui politica monetaria estremamente accomodante non riesce evidentemente ancora a dare i propri frutti, come ha rilevato anche lo stesso presidente, Mario Draghi, al termine della riunione del 7 febbraio scorso.
I segni di «credit crunch» sono purtroppo ancora evidenti in Italia, dove i prestiti alle famiglie sono diminuiti a gennaio di 500 milioni di euro, portando complessivamente al l'1,2% il calo negli ultimi 12 mesi. Ancora più grave risulta l'emorragia di finanziamenti a favore delle imprese (4,3 miliardi in meno, -3,2% su base annua). Il tutto nonostante le banche italiane si dimostrino sempre in grado di fare incetta di depositi, sia fra le famiglie (5,1 miliardi in più a gennaio), sia questa volta anche fra le imprese (4,1 miliardi).

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