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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2013 alle ore 18:01.

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«Fermare l'attrito» sull'economia. E' stata questa la parola d'ordine lanciata da Barack Obama davanti al fallimento di ogni negoziato per evitare il sequester, i tagli automatici alle spesa pubblica americana che scatteranno da venerdì notte, mettendo a rischio, secondo le stime della Casa Bianca, 750mila posti di lavoro. Il presidente ha attaccato l'opposizione repubblicana, affermando che ha preferito silurare un compromesso pur di difendere privilegi e scappatoie fiscali per gli «interessi speciali».

Ma l'ha anche invitata a non abbandonare il tavolo della trattativa: ha auspicato che i repubblicani accettino alla fine aumenti delle entrate fiscali come uno degli elementi accanto ai risparmi per risanare con una strategia equilibrata i conti pubblici. E ha ribadito che l'obiettivo vero è un accordo ancora più ambizioso di quello sul sequester del 2013: l'eliminazione di 1.500 miliardi di dollari dai deficit degli Stati Uniti nell'arco di dieci anni grazie a riforme sia del fisco che della spesa. I tagli automatici prevedono risparmi indiscriminati per 85 miliardi quest'anno, entro la fine dell'esercizio fiscale a settembre, e di 1.200 miliardi in un decennio.

I leader repubblicani hanno tuttavia accettato il guanto di sfida, rifiutando qualunque marcia indietro sulle entrate fiscali. «Il presidente ha già ottenuto i suoi incrementi delle tasse», ha detto lo Speaker della Camera John Boehner. Un'affermazione cha ha voluto ricordare la precedente intesa per scongiurare una debacle sul bilancio, quella sul fiscal cliff del primo gennaio quando in extremis sono stati evitati aumenti generalizzati delle imposte ma sono stati solo rinviati – a oggi - i tagli indiscriminati alla spesa.
Obama e Boehner hanno parlato, pubblicamente e separatamente, al termine di un ultimo incontro di un'ora svoltosi questa mattina alla Casa Bianca, a porte chiuse, tra il presidente e i leader congressuali e che si è concluso con un nulla di fatto. Boehner, fin dalle ore precedenti, aveva fatto sapere che ormai non era più in corso alcun negoziato tra le parti.

Per gli Stati Uniti si apre così ora una nuova partita dall'alta posta in gioco. Obama e i repubblicani cercherano di forzare la mano dell'avversario per raggiungere accordi nei quali possano dischiararsi vincitori. Ma se questa è la loro scommessa, resta da dimostrare che il passare del tempo e la crescente urgenza portino a più miti consigli. Già si delinea la prossima scadenza: il 27 marzo scade il budget operativo per il funzionamento del governo, che in assenza di un rinnovo rischia di portare alla paralisi immediata degli uffici federali.

Obama ha lanciato una nuova campagna per aumentare la pressione sui rivali politici senza però generare panico. Ci saranno danni all'economia se non verrà trovata una soluzione comune sui risparmi, ha avvertito, parlando di frenate della crescita e perdita di posti di lavoro dal manifatturiero alla scuola. Ha definito i tagli «arbitrari e sciocchi» e l'ombra di una crisi del tutto «non necessaria». Ha tuttavia inviato anche un messaggio volto a scongiurare eccessivi allarmi: ha detto che l'America non è e non sarà a rischio di una nuova «crisi finanziaria».

Stando alle previsioni degli esperti di bilancio del Congresso e Casa Bianca, il "sequester" dovrebbe limare cumulativamente 0,6 punti percentuali dalla crescita nel corso dell'anno. Una percentuale che non dovrebbe far scattare nuove recessioni, con i tagli, per metà al Pentagono e per metà nelle restanti agenzie federali, che entreranno in vigore solo progressivamente nelle prossime settimane e mesi. Ma si tratta ugualmente di un colpo che, se gli accordi continueranno a venir meno, peserà su una crescita entrata nel 2013 al fragile passo dello 0,1% fatto segnare nel quarto trimentre dell'anno scorso. E che potrebbe costare caro, otre che al Paese, anche alla reputazione della Casa Bianca e del Congresso.

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