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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2013 alle ore 09:45.

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Appena uscito dall'aula della Corte d'Appello, Silvio Berlusconi va all'attacco dei magistrati: «Parte della magistratura è una patologia e un cancro per la democrazia», dice al muro di giornalisti che riprendono la scena con gli iPad. Sa che in breve la frase farà il giro d'Italia sollevando un cumulo di polemiche, ma l'ex premier ha voglia di parlare e appare rinvigorito dai risultati elettorali. Parla anche dei tre milioni di euro che sarebbero stati versati all'ex senatore dell'Idv Sergio De Gregorio per passare a Forza Italia. L'inchiesta per corruzione è stata avviata dalla procura di Napoli, poi i pm di Roma avevano sollevato un conflitto di competenza ma il procuratore generale della Cassazione ha stabilito che resterà nel capoluogo campano.

Pochi minuti dopo, all'interno dell'aula, il sostituto procuratore generale Laura Bertolé Viale non si lascia intimidire e chiede la condanna per l'ex premier: Berlusconi, afferma il magistrato, è colpevole di frode fiscale nella compravendita dei diritti tv Mediaset e dunque va confermata la condanna in primo grado a quattro anni di reclusione e all'interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Bertolé spiega che c'è la prova documentale della presunta evasione fiscale e sarebbe una lettera scritta il 12 dicembre 1994 al suo capo da Douglas Schwalbe, un impiegato contabile della casa cinematografica Fox, nella quale si fa riferimento a una sorta di «gioco delle tre carte» attuato dalle società del gruppo Berlusconi «per evitare le tasse italiane». Non solo. Bertolé parla anche della testimonianza resa dall'ex presidente di Mondadori, Franco Tatò, secondo il quale l'ex premier avrebbe continuato a seguire le attività del suo gruppo anche dopo l'ingresso in politica.

Il sostituto procuratore generale chiede anche la condanna a tre anni e quattro mesi di carcere per Fedele Confalonieri, che in primo grado era stato assolto, mentre l'avvocato dello Stato, Gabriella Vanadia, chiede che venga confermata la condanna al pagamento di 10 milioni di euro all'Agenzia delle entrate da parte di Berlusconi in solido con gli altri imputati.
All'inizio dell'udienza, l'ex premier si era difeso prendendo la parola per circa quindici minuti. «Mai ho partecipato a trattative sui diritti tv – ha esordito Berlusconi – mai ho visto un documento d'acquisto, mai ho partecipato a dichiarazioni fiscali della società e ricordo che negli anni dei fatti, il 2002 e il 2003, ero presidente del Consiglio a tempo pieno. Per i sei miliardi di tasse che il mio gruppo ha pagato dal 1994 merito una medaglia d'oro da mettere sul petto.

Per questo considero la condanna nei miei confronti in primo grado una grande cantonata giudiziaria. Non voglio pensare – ha aggiunto – a una sentenza politica».
Berlusconi ha poi sostenuto di non essere socio occulto di Frank Agrama, l'intermediario dei diritti tv anch'egli condannato in primo grado, e ha sottolineato l'illogicità, a suo dire, delle accuse: «Il risparmio di imposta sottratto – ha affermato – sarebbe di tre milioni di euro nel periodo 2002-2003, ma in quegli anni il mio gruppo ha versato 567 milioni di euro all'Erario». La sentenza dovrebbe arrivare il 23 marzo.

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