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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2013 alle ore 21:05.

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I cardinali Timothy Dolan e Justin Francis Rigali - ApI cardinali Timothy Dolan e Justin Francis Rigali - Ap

Com'era prevedibile, la comunicazione è già protagonista del pre-conclave. I cardinali americani insistono sul loro press-briefing quotidiano al North American Pontifical College: non è ancora un'"anti-conferenza stampa" rispetto a quella ufficiale di padre Federico Lombardi in Vaticano, ma ormai poco ci manca. Lo ha ribadito senza mezzi termini il cardinale Francis George, arcivescovo di Chicago (la città del presidente Barack Obama), incontrando i giornalisti dopo la prima congregazione generale: «Meglio parlare con la stampa che non parlarci». Non è stato dunque solo una rondine di tardo inverno il primo round-up delle porpore a stelle e strisce, giovedì sera, quando Benedetto XVI stava già volando a Castel Gandolfo.

Al "campus" statunitense sul Gianicolo si sono presentati in tre fra gli 11 elettori d'Oltre Atlantico, appena sbarcati a Fiumicino: oltre a George c'erano l'emergente Sean Patrick O' Malley, il cappuccino di Boston (la città dei cattolici Kennedy); e Daniel Di Nardo, arcivescovo di Houston. Oggi, con lo stesso George, c'era Donald Wuerl, arcivescovo di Washington. La capitale degli States. Sarà interessante vedere se in settimana si farà vivo anche Timothy Dolan, l'iper-mediatico cardinale di New York: forse non allineatissimo con colleghi più "liberal" di lui, ma in compenso già protagonista di un'intervista satellitare con Christiane Amanpour, "chief international correspondent" della Cnn.

Al di là delle aspirazioni personali e dei differenti schieramenti in conclave, gli americani sembrano condividere non solo il pulmino che li porta ogni giorno in Vaticano, ma anche una strategia di comunicazione pro-attiva: il cambio di pontificato è un'occasione unica per stabilire un "prima" e un "dopo" rispetto alla difficilissima stagione degli scandali-pedolifilia, che ha duramente colpito immagine e finanze della Chiesa Usa.

Ma all'apertura formale del pre-conclave, anche tre cardinali "ispanici" hanno mosso pedine pesanti sullo scacchiere mediatico, anche se su un più stretto versante ecclesiale e con un più sofisticato linguaggio liturgico. Tre messe "Pro eligenfo pontifice" saranno celebrate da giovedì' 7 a sabato 9 marzo da altrettante eminenze ultraottantenni (quindi formalmente fuori conclave): lo spagnolo Julian Herranz (legato all'Opus Dei) uno dei tre autori della "Relationem" su Vatileaks presentata a papa Ratzinger alla vigilia del suo ritiro; il curiale colombiano Dario Castrillon; e il messicano Xavier Lozano Barragan, altro "emerito" della Santa Sede. Tre conservatori dell'era Wojtyla, tre elettori di Ratzinger otto anni fa: non sorprende che vogliano celebrare la messa in latino nel rito tridentino (quello tuttora sostenuto dai lefebvriani).

Né è marginale che l'altare prescelto da tutti e tre sia quello di Santa Maria Maggiore, la "chiesa madre" della diocesi di Roma, di cui Benedetto XVI è stato vescovo fino a cinque giorni fa. Ascoltare le loro omelie in latino sarà più complicato di un "question & answer" in inglese con un cardinale della East Coast: però non è improbabile che escano "input" altrettanto segnaletici su quello che si annuncia come uno dei conclavi più incerti della storia.

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