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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2013 alle ore 21:30.

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(Afp)(Afp)

Nessun allarme. Anche perché le scorte italiane si trovano a livelli confortevoli, altri paesi, come Russia e Olanda, sono in grado si supplire al deficit libico, e il quantitativo di gas venuto a mancare non era così rilevante (circa 20 milioni di metri cubi di gas giornalieri). Ma la vicenda accaduta sabato scorso in Libia – la chiusura del sito di Mellitha a causa di scontri tra milizie che ha bloccato le forniture libiche di gas all'Italia – riaccende i riflettori sulla vulnerabilità dei Paesi nordafricani, partner energetici strategici per un Paese che, come l'Italia, importa quasi tutto il gas e il petrolio che consuma.

Dopo uno stop durato tre giorni l'Eni ha comunicato di aver avviato le procedure necessarie per far ripartire la produzione preso il grande sito di Mellitah, a ovest di Tripoli. Ci vorranno almeno altri 3-4 giorni affinché il gas arrivi sulle nostre coste. La Mellitah Oil & Gas, è joint venture fra la compagnia libica nazionale (Noc) e l'Eni. Dalla stazione di compressione di questo sito parte Green Stream, il più lungo gasdotto sottomarino del Mediterraneo che collega Mellitah a Gela, in Sicilia e fornisce ogni anno 9 miliardi di metri cubi di gas. La chiusura di Mellitha ha avuto un impatto anche sui giacimenti da Elephant e Wafa, che hanno registro un calo del 25% della loro produzione (205mila barili al giorno di greggio).

Anche questi giacimenti dovrebbero tornare a lavorare su ritmi normali una volta che Mellitah sarà pienamente operativa. Il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, che ha spiegato di seguire «attentamente» la situazione, ha precisato che «la situazione è sotto controllo» e «il tema Libia non è un problema». «Quella della Libia è una quota relativamente bassa (il 10 per cento del fabbisogno italiano di gas, ndr) e non indispensabile in questo momento».

Qualche preoccupazione tuttavia c'è. Non sono passati nemmeno due mesi dalla strage di In Amenas, il grande sito di gas algerino dove a metà gennaio un commando di estremisti aveva occupato il sito sequestrando per giorni centinaia di operatori. Durante il sanguinoso blitz delle forze algerine per liberarli rimasero uccisi decine di operatori stranieri e locali. In quell'occasione si era registrato un breve calo delle forniture algerine di gas verso l'Italia (pari a circa il 17%). L'Algeria è il nostro primo fornitore di gas con una quota del 33% dell'import italiano.

Sabato è toccato alla Libia. L'ex regno di Gheddafi è tornato a essere il nostro primo fornitore di greggio con circa il 20% del nostro import, e il quarto di gas con una quota del 10-15%. È un Paese strategico, in cui, tuttavia, è difficile decifrare la fase di transizione, e identificare le reali posizioni di potere.

Gli scontri a fuoco nei pressi di Mellitah sono scoppiati sabato mattina tra le brigate di Zintan e quelle di Zuara. Il governo di Tripoli ha reagito con forza, facendo poi sapere che l'esercito ha preso il controllo del sito, svolgendo con successo una mediazione tra i due belligeranti. Il problema è che in Libia un vero esercito ancora non c'è. Le sue forze sono anch'esse milizie, ritenute più fedeli, che però a volte rispondono più agli interessi dei rispettivi clan che a quelli del potere centrale.

«La principale minaccia alla stabilità della Libia è costituita da coloro che si
rifiutano di consegnare le armi e le usano per i propri interessi personali», ha tuonato il neo premier libico Ali Zeidan, lanciando un monito alle milizie, perché si mettano a
disposizione del governo pena lo scioglimento. Un compito tutt'altro che facile. Sono soprattutto le milizie più potenti (come gli zintani, quelle di Misurata o di Bengasi) a possedere le armi pesanti (anche carri armati e razzi). Tanto che la richiesta del Governo di Tripoli, che preme per la fine dell'embargo Onu, e spera presto di poter avviare nuovi contratti militari, forse anche con l'Italia, risponde all'intento di mettersi alla pari, o superare in potenziale di offensivo, con i gruppi che non vogliono restituire le munizioni più pericolose sequestrate durante la guerra civile all'immenso arsenale di Muammar Gheddafi.

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