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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2013 alle ore 06:40.

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Le serate di Arcore erano l'espressione di «un collaudato sistema prostitutivo organizzato per il soddisfacimento sessuale di Silvio Berlusconi». Un «mercimonio» curato da Nicole Minetti, Emilio Fede e Lele Mora in cambio di benefici politici o per «lucrare vantaggi economici». E Karima-Ruby El Marhoug, all'epoca minorenne, era parte di questo sistema. Sono parole dure quelle che il pubblico ministero Antonio Sangermano pronuncia per oltre due ore nella requisitoria del processo Ruby, nel quale l'ex presidente del Consiglio è imputato di concussione e prostituzione minorile. «Gli elementi di prova – esordisce il pm – convergono univocamente ad attestare la responsabilità dell'imputato». Con una «macroscopica anomalia» che Sangermano sottolinea all'inizio del suo intervento e cioé che Berlusconi «ha iniziato a remunerare i testimoni a suo carico con 2.500 euro mensili». Il leader del Pdl è indagato per corruzione di testimoni? «Non dico niente», è la risposta del pm ai giornalisti che al termine dell'udienza gli chiedono quali sono le conseguenze di quella «anomalia».

«Toccamenti lascivi», «spogliarelli», «contatti intimi»: così Sangermano ricostruisce quelle che per la difesa di Berlusconi sono solo «cene eleganti» e fa parlare le testimonianze delle ragazze che negli ultimi mesi si sono succedute in aula. Cita Chiara Danese e Ambra Battilana, Milena Tumini, Natascia Teatino e Maria Makdoum, uscite sconvolte dalle serate di Arcore. «È totalmente falso che le cene fossero incontri conviviali allietati da qualche scena di burlesque», aggiunge poi.

Nell'organizzazione delle serate un ruolo chiave era quello di Nicole Minetti, di Emilio Fede e di Lele Mora, imputati di induzione e favoreggiamento della prostituzione anche minorile in un processo parallelo. Partecipare alle cene "eleganti" poteva permettere a qualcuno di «restare alla guida di un importante telegiornale» mentre ad altre apriva «prospettive di inserimento professionale e anche politico», sottolinea Sangermano. Impietosa la descrizione del ruolo della ex soubrette ed ex consigliere regionale lombardo del Pdl, che «gestiva il sistema prostitutivo per conto di Silvio Berlusconi». Attraverso le intercettazioni e le testimonianze, Sangermano ripercorre le serate nelle quali «le ragazze ballavano cantando "Meno male che Silvio c'è"» e Nicole Minetti «nuda si faceva toccare le parti intime da Berlusconi». Va avanti così per interi minuti, Sangermano. Descrive il bunga-bunga e la divisione in tre parti delle serate. Racconta dell'ambizione e della competizione tra le ragazze per partecipare alla terza parte, quella che era remunerata di più. Perché, ricorda il pm, qui si parla di sesso in cambio di denaro. Ruby era inserita in questo sistema di prostituzione ma il sistema non è nato né è morto con lei.

La requisitoria di Sangermano si concluderà nell'udienza di venerdì prossimo, quando parlerà anche il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, alla quale spetterà la richiesta della pena per Berlusconi. Ma per uno dei difensori dell'ex premier, Niccolò Ghedini, quella di Sangermano «è una ricostruzione squisitamente di parte per giustificare le indagini e le intercettazioni». Per Ghedini «si è parlato di un processo mediatico e non giudiziario, e di una vicenda ricostruita con frammenti di testimonianze smentita da decine e decine di testi». E in serata Berlusconi ha parlato in una nota di «ricostruzione fantasiosa: non ho mai dovuto pagare una signorina o una signora per avere rapporti intimi».

In mattinata era stata chiamata a deporre il pm minorile Anna Maria Fiorillo, il giudice che la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 fu interpellata dalla questura per stabilire a chi Ruby dovesse essere affidata. Il giudice minorile ha ricostruito le quattro telefonate con i funzionari di polizia. «Non ho mai cambiato le mie disposizioni – ha affermato – quella notte ho sempre mantenuto la mia linea, cioé che la ragazza fosse messa in una comunità per minori». Anche quando la funzionaria Giorgia Iafrate le disse che Ruby era la nipote di Mubarak e che in questura si era presentata la "consigliera ministeriale" Nicole Minetti, «io risposi affermando che non conoscevo la carica di consigliere ministeriale e domandai a quale titolo si presentasse». «Fu una telefonata indimenticabile – ha aggiunto il pm – perché non è mai successo che dall'altra parte ci fosse una persona che non voleva ascoltare». E quando l'allora ministro dell'Interno, Roberto Maroni, «andò in Parlamento a dire che la polizia aveva affidato» a Nicole Minetti la minorenne Ruby «secondo le mie disposizioni», l'esponente leghista riferì «cose non vere – ha concluso il pm –. È stato un attacco alla mia onorabilità perché in una situazione simile nessun magistrato avrebbe preso una decisione diversa dalla mia».

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