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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2013 alle ore 06:40.

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NAPOLI
Altro che debito di riconoscenza: i cinque milioni chiesti dal fuggiasco Valter Lavitola a Silvio Berlusconi erano un'estorsione. Un taglieggiamento vero e proprio, a cui l'ex premier avrebbe dovuto sottostare in cambio del silenzio su «circostanze di fatto penalmente rilevanti e pregiudizievoli per la sua posizione giuridica e per la sua immagine pubblica», soprattutto in relazione all'inchiesta barese sulle escort di Gianpy Tarantini.
Ieri mattina, si è chiusa davanti al gup Francesco Cananzi una delle inchieste più "calde" degli ultimi tempi. Il verdetto recita una condanna a due anni e otto mesi di carcere per il faccendiere, ex direttore dell'Avanti, e l'assoluzione «per non aver commesso il fatto» per l'altro imputato, l'imprenditore siciliano Carmelo Pintabona, arrestato nei mesi scorsi a Palermo.
Le accuse della Procura di Napoli nei confronti dei due si basano principalmente su intercettazioni telefoniche e su due lettere minatorie che Valter Lavitola avrebbe voluto spedire a Silvio Berlusconi, ritrovate nel pc di Pintabona. Era stato lo stesso faccendiere a rivelare ai magistrati partenopei, nel corso di un interrogatorio il 25 aprile scorso, di aver chiesto il denaro all'ex premier proprio tramite l'uomo d'affari, esponente dell'Mpa e presidente della Federazione associazioni siciliane in Sud America.
Non un'estorsione, aveva cercato di giustificarsi Lavitola, ma una domanda d'aiuto in un momento di grossa crisi economica, affrontato ai tempi della latitanza in Brasile: «Io gli dissi (a Pintabona, ndr): vedi se tu riesci a contattare Berlusconi per conto mio e digli che sono nella cacca».
Una versione dei fatti non corrispondente alla realtà, secondo i magistrati inquirenti, che avevano però chiesto nei confronti dell'ex giornalista una condanna più severa, a quattro anni di carcere. Agli atti dell'inchiesta c'è anche la deposizione della sorella di Lavitola, Maria, che ai pm ha raccontato di essere al corrente di una mail o un fax, spedito dal fratello a Berlusconi, con un frase inequivocabile: «Torno e ti spacco il culo», accompagnata alla fotocopia di un biglietto aereo per l'Italia.
Nelle due lettere ritrovate nel pc di Pintabona, in cui peraltro Lavitola ricorda a Berlusconi di essere l'artefice dell'"acquisto" del senatore Sergio De Gregorio, il faccendiere quasi rimprovera l'ex Premier di non avergli teso una mano nel momento del bisogno: «Non so se le Sue prese di distanza sono reali, o frutto di un misto di istinto di conservazione, vigliaccheria e cattivi consigli o, come spero, di un giusto e normale gioco delle parti».
Perplesso l'avvocato Gaetano Balice, difensore di Lavitola. «La decisione del giudice ridimensiona i fatti riconducendoli a limiti molto meno allarmanti rispetto a quelli prospettati dall'accusa - ha detto il legale -. L'ipotesi delittuosa è a mio avviso fantasiosa e priva di qualsiasi ancoraggio con la realtà». I difensori di Pintabona, Mario Papa e Alfredo Serra, hanno invece espresso «totale soddisfazione».
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L'IDENTIKIT
Valter Lavitola, salernitano, classe 1966. Nel Partito socialista dal 1984. Conobbe Berlusconi alla metà degli anni Novanta. Direttore del quotidiano "L'Avanti".
Nel 2008 tentò, inutilmente, l'inserimento nelle candidature per le politiche.
Ha sempre esibito un rapporto diretto con il leader del Pdl

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