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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2013 alle ore 15:28.

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Nella foto Chiara Scipioni, avvocato e responsabile di uno dei quattro centri antiviolenza gestiti a Roma dall'associazione Differenza donnaNella foto Chiara Scipioni, avvocato e responsabile di uno dei quattro centri antiviolenza gestiti a Roma dall'associazione Differenza donna

«Ad accomunare le donne vittime di violenza è un unico tratto: la solitudine. L'isolamento è uno dei passaggi chiave di quella che chiamiamo "spirale della violenza". Spezzarlo è il nostro compito primario, insieme a quello di sostenere le donne nella rielaborazione del trauma e nella costruzione di nuovi percorsi di vita». A parlare è Chiara Scipioni, avvocato e responsabile di uno dei quattro centri antiviolenza gestiti a Roma dall'associazione Differenza donna. Chiara, 31 anni, è una delle sei donne under 35 che oggi ricevono le onorificenze dell'Ordine al Merito della Repubblica italiana dalle mani del capo dello Stato Giorgio Napolitano.

Un segnale forte della centralità del tema della violenza di genere, al quale le Nazioni Unite dedicano quest'anno la Giornata internazionale della donna, ricordando le cifre di quella che definiscono «epidemia»: sette donne su dieci nel mondo hanno subito violenza fisica o psicologica nel corso della loro vita. Ben 603 milioni di donne vivono in Paesi in cui la violenza domestica non è considerata reato. Circa una donna su quattro ha subito qualche forma di maltrattamento durante la gravidanza. Più del 50% degli abusi sessuali riguardano ragazze sotto i 16 anni. Numeri che non sorprendono Scipioni, da cinque anni in trincea a fianco delle donne maltrattate e sfruttate.

Come è arrivata a occuparsi di violenza sulle donne?
Il mio percorso era tutt'altro. Avevo appena sostenuto lo scritto dell'esame di avvocato quando ho deciso di presentare la domanda per il servizio civile e ho scelto di svolgerlo al centro antiviolenza del Comune di Roma, gestito da Differenza donna. Era il 2008. Da allora, nonostante sia nel frattempo diventata avvocato e abbia anche esercitato la professione, ho continuato a lavorare nei centri dell'associazione prima come semplice operatrice e poi come responsabile.

Che cosa l'ha convinta a farne la sua attività principale?
Mi sono trovata in un luogo di donne in cui la metodologia di lavoro è basata sulla relazione tra pari. L'identità di genere è diventata lo strumento da mettere a disposizione delle altre donne. Ma non è stato un percorso facile. Ho dovuto mettere in discussione tantissime cose di me date per acquisite, compreso il rapporto con il maschile. Ho capito che faccio parte di una generazione di giovani donne che ha beneficiato delle conquiste ottenute dalle nostre madri e mi sono resa conto che ancora oggi quelle conquiste non sono scontate, ma necessitano di una riaffermazione quotidiana.

Da dove nasce la violenza sulle donne?
La matrice è la cultura maschile dominante. Lo dimostra il fatto che ai nostri centri si rivolgono donne italiane e straniere di tutte le età e di tutte le classi sociali. Nel 2012 abbiamo accolto 1.700 donne, immigrate al 45%. Gli autori della violenza - per il 78% maltrattamenti - sono per l'80% mariti o compagni, il 18% altri parenti o conoscenti e appena il 2% sconosciuti. Nello stesso anno abbiamo ospitato 70 donne e 62 bambini. Il tratto che le accomuna tutte è la solitudine, l'isolamento, che è il primo passaggio della spirale della violenza.

Che cosa succede ai bambini che assistono alla violenza subita dalle madri?
La violenza assistita produce gli stessi traumi di quella subìta. Ma i bambini mostrano una capacità straordinaria di recupero, con una velocità di gran lunga superiore a quella delle mamme. Nei nostri centri riscoprono la serenità.

Qual è il percorso che attivate?
I centri sono luoghi unici, con esperienze e professionalità diverse, in grado di attivare intorno alle donne una rete di sostegno per spezzare l'isolamento e creare nuovi percorsi di vita. È un paradosso vederli chiudere, come sta accadendo in tutta Italia, mentre assistiamo ogni giorno alla tragedia dei femminicidi. Migliaia di donne restano senza punti di riferimento sul territorio.

Che cosa bisognerebbe mettere in campo?
Il riconoscimento e il finanziamento dei centri antiviolenza quali luoghi deputati all'accoglienza e al supporto delle donne che hanno subito maltrattamenti e abusi. Ma serve anche un lavoro di grandissima sensibilizzazione culturale, a partire dal linguaggio: è necessaria la formazione nelle scuole, tra le forze dell'ordine, tra i magistrati, tra il personale sanitario.

Adesso lei è la responsabile di un centro che accoglie le vittime di tratta e di sfruttamento sessuale e lavorativo…
La prostituzione rappresenta in modo esponenziale la matrice della violenza: in questo caso chi agisce la violenza non è soltanto l'uomo singolo, ma intere organizzazioni criminali che sfruttano povertà e disperazione. Le donne che accogliamo sono le nuove schiave, paradossalmente sotto gli occhi di tutti ma prive di ogni tutela, anche perché spesso clandestine. È un grande motivo di pregio poter dare loro anche la possibilità di curarsi grazie al Servizio sanitario nazionale, un presidio che va difeso a tutti i costi.

Che cosa suggerirebbe alle donne che subiscono violenza?
Non sentitevi sole, non vergognatevi, uscite dal silenzio. È assurdo che a provare vergogna siate voi e non chi vi maltratta.

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