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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2013 alle ore 06:35.

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A Siena c'era un'inchiesta giudiziaria: sui ratios patrimoniali di Mps relativi all'acquisto di Antonveneta, e sui prodotti derivati, su cui un gruppo di manager, secondo le ricostruzioni della procura di Siena, avrebbe intascato commissioni illecite. Poi, a quasi un anno di distanza dalle prime perquisizioni, l'attenzione su Siena si è ingigantita, complice il clima elettorale: si è cominciato a parlare di maxi-tangenti, retroscena politici scandalosi, vertici corrotti e conti occultati.

Spesso senza equilibrio e senza razionalità, in nome di verità nascoste ancora da dimostrare, perdendo di vista le vere questioni dell'inchiesta.
Le indagini su Mps sono iniziate un anno fa, molto complesse e relative alle modalità con cui sono stati realizzati gli aumenti di capitale, curate peraltro da magistrati riservati, che tutto cercavano fuorché l'attenzione mediatica. Nel registro degli indagati sono stati iscritti sia l'ex presidente Giuseppe Mussari, che l'ex dg Antonio Vigni, più altri manager (tredici in tutto). David Rossi, capo della comunicazione da anni, era considerato un uomo di fiducia di Mussari, stimato anche da Vigni. Tra le tante perquisizioni, recentemente la Gdf è andata a casa di Mussari, Vigni e anche Rossi, che adesso stava proseguendo il suo lavoro con Alessandro Profumo. Rossi non era indagato e a casa sua non era stato trovato nulla di significativo. Ma forse non ha retto allo stress e alla paura di essere additato dalla sua città. Non era stato accusato di niente, ma aveva accusato la pressione della perquisizione in modo molto forte.

La questione centrale dell'inchiesta rimane l'operazione messa in piedi per l'acquisto di Antonveneta, e ruota intorno a reati quali l'ostacolo alla vigilanza e il falso in prospetto (a cui per qualcuno si aggiunge il reato di manipolazione in bilancio). Reati gravi per una banca, ma non si parlava di appropriazione indebita e truffa né per Mussari né per Vigni. Per la stessa procura di Siena, insomma, non ci sarebbero per ora tracce di tangenti. Sotto la lente degli inquirenti non ci sarebbe nemmeno il prezzo, molto alto, pagato per Antonveneta: 9,3 miliardi sarebbe per gli stessi procuratori un prezzo coerente, per quanto elevato, con quanto pagato all'epoca per altre banche, in Italia e in Europa. Nel dossier della procura di Siena non si parla nemmeno di plusvalenze: il valore di partenza di Antonveneta, pari a 6,3 miliardi, fu attribuito dal Santander, Fortis e Royal bank of Scontland all'indomani della scalata su Abn Amro, per un'operazione finanziaria del valore di 71 miliardi complessivi.

Per quanto riguarda invece il filone sulla finanza strutturata con Nomura e Deutsche bank e sul contratto di collegamento tenuto nascosto in una cassaforte per nascondere le perdite dei derivati, il nuovo board di Mps ha appena avviato un'azione di responsabilità nei confronti delle due banche straniere, chiedendo danni per 1,2 miliardi (770 milioni a Nomura e 500 a Deutsche Bank) e agli ex vertici bancari. Inoltre, sempre relativamente al filone sui derivati, si parla di un'associazione a delinquere messa in piedi da un gruppo di manager interni ed esterni alla banca, tra cui l'ex responsabile della Finanza Gian Luca Baldassarri (in custodia cautelare in carcere), a cui sono stati in tutto sequestrati 46 milioni tra somme e titoli. In questo caso si parla di manager infedeli e Mps è vittima, e non è escluso che si costituisca parte civile.

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