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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2013 alle ore 08:13.

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«Per un rilancio strutturale della nostra economia è arrivato il momento di ricreare dei forti ed efficaci istituti di credito a medio termine che finanzino l'industria con l'emissione di obbligazioni con finalità di scopo, e dei modelli simili agli storici "crediti fondiari" per i comparti dell'edilizia. È premessa necessaria per una seria politica di sviluppo».
Fulvio Conti, vice presidente di Confindustria per il Centro Studi e ad Enel, nel giorno della presentazione della nota del Csc sul credit crunch, lancia una proposta forte nella direzione del futuro nuovo governo, ma anche verso le autorità monetarie nazionali ed europee.
Una politica bancaria di medio termine, quindi, che evidentemente manca?
Si tratta di attivare uno strumento che nel paese, in anni lontani, si è rivelato essenziale per lo sviluppo dell'Italia. Oggi ci sono al massimo delle sezioni a medio termine previste nel modello di banca universale, ma non basta. Come del resto c'è la Banca del Mezzogiorno, nata dentro lo storico Mediocredito Centrale, ma non ha una sua attività. Serve ben altro.
Mediocrediti al servizio delle piccole e medie imprese, visto che le grandi hanno un accesso diretto ai mercati finanziari?
Un'azienda che ha, facciamo un esempio, un capannone nel Nord Est e vuole raddoppiarlo, non ha una sua visibilità sui mercati finanziari. Le serve uno strumento. Ecco perché bisogna ripensare ad un modello di credito a medio termine. Delle banche specializzate che facciano raccolta a tassi competitivi e prestino nel lungo periodo all'economia reale.
Ma le banche che ci sono non possono farlo?
Serve che siano forniti, sempre sotto la supervisione della Banca d'Italia naturalmente, strumenti alternativi al credito commerciale. C'è bisogno di affidabilità, ma in modo diverso da quello che fanno le agenzie bancarie, o meglio che facevano visto il processo di centralizzazione che si vede nel sistema, e che disintermedia progressivamente la rete che conosce le aziende sul territorio.
Una proposta forte, che arriva sul tavolo del prossimo governo. Ma si propongono anche interventi immediati?
Sì, interventi che può mettere in moto anche l'attuale governo in carica, visto che si tratta di azioni di ordinaria amministrazione che non hanno bisogno di tempi lunghi. La prima è lo snellimento delle procedure per la certificazione dei crediti vantati dalle aziende private verso la pubblica amministrazione: oggi è previsto un iter eccessivamente burocratico, che va cambiato.
Interventi legati alla vostra proposta di uno "shock di politica economica" con il pagamento immediato di 48 miliardi di euro di debiti commerciali della Pa.
Bisogna far entrare direttamente questi soldi dentro il sistema economico, per rompere il circolo vizioso che si è creato: le banche erogano con il contagocce il credito per paura di veder aumentare le proprie sofferenze, questo credit crunch frena il recupero di domanda interna, e così tutto si blocca. Questa catena che strozza le aziende e che spinge le banche a tagliare il credito va spezzata.
Ma lo Stato avrebbe difficoltà a reperire quasi 50 miliardi per pagare i debito con le imprese?
Si tratterebbe solo di una manovra contabile, che non intaccherebbe gli impegni italiani sul fronte della Ue. Inoltre i mercati già scontano - nelle quotazioni dello spread - questa partita, quindi non ci sarebbero effetti negativi per i nostri conti, che invece ci sono se le aziende continuano a soffrire del mancato pagamento.
Altri interventi rapidi?
Far ripartire degli strumenti importanti. Penso al potenziamento del Fondo Centrale di garanzia, che presta garanzie alle banche per facilitare l'erogazione di prestiti alle Pmi. E poi all'operatività della Cassa Depositi e Prestiti, che ha messo a disposizione degli istituti otto miliardi di euro nel 2009 e dieci nel 2012.
Il tema centrale, quindi, in questa fase, resta l'erogazione del credito, ma le vie d'uscita non sembrano mancare?
La riduzione dei prestiti ha origini decisamente più spostate sul lato dell'offerta che non su quello della domanda. E la dimostrazione - come viene messo in rilievo dalla nota del Csc - è che la flessione del credito è ben più decisa di quella del Pil nominale e, dati alla mano, risalta agli occhi che è avvenuta prima la riduzione dell'offerta di credito, che è stata di certo all'origine della seconda recessione che ci ha colpiti, e solo in seguito è arrivato il calo della domanda. Ripeto: bisogna far ripartire l'economia nel senso del circolo virtuoso che indichiamo, altrimenti è a rischio serio il modello di industria, di impresa, e rischiano di sparire aziende che invece hanno attività positive e una vitalità imprenditoriale molto forte.
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