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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2013 alle ore 06:37.

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I primi a dover rimettere mano all'organizzazione, in gran fretta, sono gli atenei telematici, fioriti negli ultimi anni per intercettare una domanda di formazione spesso "alternativa" a quella tradizionale. Progressivamente, però, il salire della marea investirà anche le università fisiche, e nel giro di quattro anni imporrà a 40 atenei su 90 di alleggerire la propria offerta di corsi di laurea rispetto a quella attuale.
La marea è quella dei nuovi requisiti di accreditamento contenuti in uno degli ultimi decreti attuativi della riforma Gelmini, firmato il 30 gennaio scorso dal ministro dell'Università Francesco Profumo: dal 2013/2014, ogni corso di laurea dovrà rispettare una serie di parametri per ottenere l'accreditamento ministeriale, senza il quale dovrà chiudere bottega. Tra i criteri per il "patentino" ministeriale spicca quello relativo alla docenza, che imporrà a ogni corso di laurea un numero minimo di professori di ruolo.

I parametri
Il livello, come accennato, salirà progressivamente, in quattro anni. Ai corsi che vorranno nascere o ripartire a settembre servirà almeno un docente di ruolo per anno (dunque il minimo è tre per le lauree di primo livello e due per le magistrali), poi la richiesta salirà fino ad arrivare a regime, dal 2016/2017, a quattro docenti all'anno.
Per le università non statali e per quelle nate solo online sono previsti sconti, ma molto ridotti, (tre docenti all'anno a regime invece di quattro), mentre un regime diverso riguarderà i corsi delle professioni sanitarie e di scienze motorie. Già da questa sintesi, però, emergono chiare due caratteristiche del nuovo sistema: progressivi quanto si vuole, i parametri sottopongono tutti a un trattamento analogo, e non offrono vie d'uscita.

L'impatto sulle telematiche
Proprio per questa ragione i primi effetti drastici si concentreranno sulle università telematiche, che spesso fino a oggi hanno potuto moltiplicare la propria offerta di corsi pur viaggiando su una struttura iper-leggera dal punto di vista della docenza di ruolo. Alla Guglielmo Marconi, per esempio, la banca dati ministeriale dell'offerta formativa registrava, nel 2011/2012, 30 corsi di laurea, da ingegneria a giurisprudenza, da economia a lettere e lingue, ma il censimento dei docenti (sempre targato ministero dell'Università) non andava oltre i 22 professori di ruolo. Per mantenere lo stesso numero di corsi, il prossimo autunno servirebbero 75 docenti, più del triplo di quelli attuali, e una volta a regime, i nuovi parametri ne chiederanno 225, cioè dieci volte tanto. Simile il quadro offerto dall'E-Campus, con nove corsi all'attivo e due soli docenti di ruolo, mentre alla telematica Leonardo potrebbe bastare una piccola revisione, e San Raffaele e La Sapienza (sempre telematiche, da non confondere con gli atenei "fisici") dovrebbero superare indenni il primo scoglio. Diversa la situazione a Link Campus, la filiazione italiana dell'Università di Malta presieduta dall'ex ministro Vincenzo Scotti, per la quale il database ministeriale non registra docenti di ruolo.

Gli atenei tradizionali
L'entrata in gioco dei nuovi parametri non è comunque solo questione da accademia "virtuale". La tabella qui a lato confronta corsi e docenti attuali con le richieste dei requisiti a regime, e mostra l'esigenza di interventi profondi anche in grandi atenei tradizionali. I numeri sono indicativi, perché non possono tenere conto dell'articolazione di offerta e docenza per area disciplinare e settori didattici, ma mostrano distanze rilevanti fra il panorama attuale e quello chiesto dall'accreditamento a regime in università come L'Aquila, Genova e Campobasso, e fra le non statali alla Maria Ss. Assunta di Roma e all'università di Enna.
La situazione nei poli più grandi, dalla Sapienza di Roma alle Statali di Milano e Torino, è decisamente più tranquilla, ma questo è un dato ovvio. I requisiti di docenza, insieme a quelli sulla platea studentesca di riferimento, puntano a "pulire" il panorama didattico dai corsi che raccolgono non più di una manciata di iscritti.

I tagli già effettuati
Da questo punto di vista, l'università non è all'anno zero: già i «requisiti minimi» elaborati anni fa dal Comitato nazionale di valutazione, dei quali il nuovo sistema di accreditamento è l'erede, seguivano la stessa filosofia, insieme al «pacchetto serietà» dell'allora ministro Fabio Mussi, e le difficoltà nei conti degli atenei hanno fatto il resto: tra 2009 e 2011, per esempio, i corsi attivi con meno di 20 iscritti sono diminuiti del 28,6%, e quelli con meno di 5 studenti si sono più che dimezzati.
L'accreditamento, almeno nelle intenzioni, vuole rendere sistematico questo principio, dando ai parametri la forza di legge per impedire che qua e là si torni indietro.
gianni.trovati@ilsole24ore.com

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