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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2013 alle ore 06:37.

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C'è cura e cura. Quella che per eccessivo accanimento terapeutico finisce per uccidere il paziente e quella che porta alla guarigione. Il giro di vite chiesto dalla Banca d'Italia agli istituti per nuovi accantonamenti sui crediti dubbi assomiglia più alla prima tipologia. Per carità, Via Nazionale fa il suo lavoro che è quello di garantire la solidità e stabilità delle banche, ma la scelta dei tempi sembra fuori luogo. Le doverose pulizie di bilancio vanno fatte quando la congiuntura tira, non quando la crisi è acuta.

L'effetto sulla circolazione del denaro tra banche ed economia reale diventa così drammaticamente pro-ciclico. Se già ora, e ormai da tempo, le banche hanno smesso di finanziare imprese e famiglie, le nuove richieste di ulteriori accantonamenti renderanno le banche ancora più riottose nel far girare denaro. Un circolo vizioso. Le cifre che si fanno sul nuovo aggiustamento sono nell'ordine dei 20 miliardi. Oneri aggiuntivi per la gran parte degli istituti che già oggi vedono erodere, proprio dagli accantonamenti, oltre la metà dei margini e riducono la profittabilità degli istituti al 2-3% del capitale.

Con le nuove pulizie si rischia di veder azzerati gli utili degli istituti e ridurre al lumicino i dividendi per le Fondazioni, già fiaccate dalle minusvalenze patrimoniali e in debito d'ossigeno sull'erogazione. Certo con le richieste di Bankitalia verrebbe garantita la solidità del sistema, ma a che prezzo? Tanto più che l'Italia è il paese in Europa con il conteggio più rigoroso dei crediti dubbi. E questo con la crisi che si avvita diventa un difetto. È del tutto irrealistico pretendere di riportare, come indicano le banche d'affari, i livelli di copertura dei crediti dubbi al 2007. È un'altra era geologica e l'esercizio appare del tutto accademico.

Finirà che le banche accentueranno la stretta creditizia. Che è già grave ora. Solo nell'ultinmo anno sono venuti a mancare prestiti a imprese e famiglie per 50 miliardi, una doppia manovra finanziaria. E tutto perché le banche sono spaventate dal continuo accumulo delle sofferenze che implicano ormai da un triennio rettifiche ingenti sui crediti. Serviva un ulteriore giro di vite? Detto questo banche e banchieri hanno gravi responsabilità per l'attuale credit crunch. I depositi da parte dei risparmiatori italiani sono cresciuti copiosamente. Nelle casse delle banche sono affluiti nell'ultimo anno 75 miliardi di denaro. Ecco il paradosso: i prestiti crollano di 50 miliardi mentre i correntisti depositano 75 miliardi di nuovo denaro nella pancia delle banche. Si potrebbe far girare all'economia reale questo nuovo denaro che tra l'altro alle banche costa poco meno del 2%. Ma ecco l'impasse: quando una piccola-media impresa cerca un prestito si vede chiedere tassi del 6-7%. È un modo come un altro per respingere la domanda di credito. E qui sono le banche a essere miopi. Non si può con la recessione in atto pretendere di lucrare gli stessi margini sui prestiti che si producevano prima della grande crisi. Ecco la grave colpa dei banchieri.

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