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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2013 alle ore 06:39.

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di Carlo Carboni Mentre inizia il risico per le alte cariche dello Stato, dall'austera agenda Monti siamo passati, nei giorni scorsi, all'agenda Bersani che, con il senno del poi, cerca di rendere possibile ciò che appare oggi improbabile, cioè che la politica italiana riesca, con le proprie forze e al primo colpo, dallo stato di sospensione sancito già con il governo tecnico e oggi ripristinato dall'incubo di uno stallo tripolare. Bersani con otto punti – seppure a corto di dettagli, come ha notato il Financial Times – prova ad affrontare le due crisi che incombono sulla società italiana. Innanzitutto, il profondo malessere democratico, declinabile come crisi politico-morale prodotta dal vuoto pneumatico tra rappresentanti e rappresentati, uno scollamento né di destra né di sinistra poiché riguarda l'intera élite politica tradizionale. Anche il Pd ha consumato la sua tradizionale alterità identitaria in una campagna elettorale che, con la vicenda Mps, ha contribuito a opacizzare l'immagine dei suoi vertici. Le tradizionali élite politiche non hanno saputo approfittare della parentesi tecnica per offrire agli elettori un film diverso dall'immagine fissa dell'autoreferenzialità dei politici: niente riduzione dei costi della politica, valutati in oltre 20 miliardi annui (Uil), niente legge elettorale in grado di ridare voce ai cittadini. Ancora una volta l'élite politica ha scordato che per essere classe dirigente, come sosteneva Ortega y Gasset, occorre dare l'esempio, soprattutto in tempi di crisi e di austerità, mostrando un ponte di comando pronto ai sacrifici come il paese.
La seconda criticità nazionale è il malessere socioeconomico che ha assunto aspetti inusuali poiché accanto ai giovani, alle pensioni effimere, ai disoccupati, a soffrire duramente, ci sono anche decine di migliaia fra professionisti, artigiani e piccoli imprenditori, crocefissi dal credit crunch e dai pagherò statali. Lo scivolamento verso il disagio, la deprivazione e la povertà relativa oggi coinvolge circa un terzo delle famiglie italiane che, al punto in cui siamo, appaiono indifferenti a spread e borsa poiché hanno ben poco da perdere che non abbiano già perso. È l'effetto devastante dell'acuirsi della forbice delle disuguaglianze e di una storica disoccupazione che possono preludere a un ritorno delle classi sociali, dopo i decenni di benessere e di diffuso status medio di cittadinanza.
Il successo del M5S si spiega perciò simmetricamente con le ragioni della sconfitta della destra e della sinistra: il rancore diffuso dei cittadini verso una casta trincerata dietro i privilegi e la formazione di un'ampia fascia di disagio socioeconomico. Per questo, appare bizzarro che un partito che si chiama democratico e che s'ispira a principi laburisti, come il Pd, abbia deluso proprio l'area del malessere verso la nostra democrazia rappresentativa e il disagio socioeconomico. I democrat hanno perso elettori soprattutto nel mondo del lavoro e della piccola impresa, mentre restano il primo partito tra i pensionati, un elettorato storicamente fidelizzato. Il Pdl ha il primato tra le casalinghe, le più esposte alla televisione. Dal canto suo, il M5S è il primo partito tra operai, disoccupati, artigiani e ha preso molti voti d'imprenditori e impiegati. È questa la novità che il Pd dovrebbe cogliere e metabolizzare. Non solo nel paese c'è un profondo malessere verso la politica tradizionale come dimostrano i non votanti (il primo partito degli elettori), gli astenuti e la protesta grillina (il primo partito dei votanti), ma questa esprime il voto dei lavoratori autonomi e indipendenti: il mondo del lavoro e dell'impresa è in gran parte schierato contro la politica tradizionale. Il M5S è riuscito a derubricare anche la rimonta di Berlusconi e a sconfiggere la destra in un paese conservatore e sempre avaro con il centrosinistra, come dimostrato anche dalle striminzite vittorie di Prodi su Berlusconi. È arrivato dove il centrosinistra non era mai riuscito. L'analisi del voto condiziona gli scenari del dopo: Bersani con gli otto punti si ravvede, ma anche Grillo, ora che ha canalizzato la protesta in parlamento dovrà fare i conti con la responsabilità di tanti voti raccolti tra lavoratori autonomi e dipendenti. Se rifiuterà di accettare l'invito di Bersani o un altro probabile tentativo del Presidente Napolitano, rischia di trasformarsi da ariete per la soluzione dei problemi in un punto cieco protestatario, di diventare esso stesso un problema, esattamente come i partiti politici tradizionali. Se sceglierà la strategia millenarista-massimalista di Casaleggio, rischia di sgretolare la sua alterità identitaria forgiata in campagna elettorale sull'esigenza di un cambiamento che, agli occhi dei suoi elettori, ora appare realistico. Se si rifiuterà di verificare la concretezza delle intenzioni del Pd e del Presidente, negherà la novità che è stata il segreto del suo successo e questo avrà ripercussioni sul suo neoelettorato. Se non sarà novità, la notte della politica in cui tutte le vacche sono nere proseguirà e tutte le forze politiche, vecchie e nuove, torneranno a essere indistinte: in breve, il solito film politico, magari ricco di personalità, ma senza trama.
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