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Questo articolo è stato pubblicato il 16 marzo 2013 alle ore 08:11.

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L'Europa dei 27 rende gli onori delle armi al presidente del Consiglio Mario Monti, saluta lo sforzo compiuto dal premier uscente per risanare un Paese che nel novembre 2011 era sull'orlo del baratro. Accetta, soprattutto, la lezione che il "professore" affida ai suoi partner: l'austerità ha tempi troppo lunghi per essere compresa rapidamente dai cittadini, come dimostra il voto italiano. In questo senso, a preoccupare molti dirigenti europei è la presenza dell'euroscetticismo non tanto nel Movimento cinque stelle, ma in alcuni partiti tradizionali. Se risultato c'è stato dal vertice di giovedì e ieri, è il cambio di ritmo del risanamento, reso più morbido.

Il rigore fiscale resta la priorità - ha scritto Monti in una lettera al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy - ma occorre sfruttare appieno i margini di flessibilità già contenuti nel Patto di stabilità a cominciare dalla possibilità di scomputare dal deficit gli investimenti produttivi. Ipotesi che trova il consenso del cancelliere Angela Merkel oltre che del presidente francese François Hollande. Secondo la signora Merkel «è giusto» che l'Italia, con un rapporto deficit/Pil che nel 2012 si presume sia stato inferiore al 3%, «possa avere maggiore spazio per gli investimenti, come previsto dal Patto di stabilità».

Secondo il cancelliere «si può ricorrere a questa soluzione quando ci si trova con un deficit sotto il 3%, e l'Italia è lì». Nessun commento specifico sulla situazione italiana e sulla possibilità di rieditare nella Penisola una grande coalizione. «La decisione - ha detto la signora Merkel in una conferenza stampa al termine del Consiglio europeo - spetta solo agli italiani ma penso che non sarebbe male se l'Italia avesse presto un Governo». D'accordo su questo aspetto anche Hollande che ha apprezzato la lettera di Monti sul caso Italia e i rischi di un risanamento che procede «troppo in fretta» e produce il rigetto dell'Europa.

Il diavolo è nei dettagli: le modalità dello scorporo degli investimenti dal deficit pubblico sarà oggetto nei prossimi mesi di delicati negoziati con la Commissione e tra gli Stati membri. La partita quindi non è terminata. Lo stesso premier svedese, Fredrik Reinfeldt, si è mostrato scettico sulla linea Monti della flessibilità controllata per le politiche di bilancio. Qui a Bruxelles, si è detto convinto che i Paesi i quali chiedono di abbandonare l'austerità vogliono in realtà continuare a vivere a debito, chiedendo agli altri Paesi di pagare il conto finale.

Un alto responsabile europeo faceva notare ieri il particolare pericolo che si nasconde dietro alla situazione politica italiana: «Il populismo esiste, e fa parte degli scenari politici possibili, ma finché è confinato a partiti estremisti è relativamente sotto controllo. La preoccupazione è che in Italia ha messo radici anche nei partiti tradizionali. In questo senso, nella Penisola è cambiato il panorama politico, purtroppo». Il riferimento è alla campagna elettorale con accenti euroscettici condotta dal Pdl di Silvio Berlusconi. Bene o male, la crisi italiana ha avuto il merito di sensibilizzare il Consiglio europeo.

Entro gli stretti margini consentiti dalla situazione finanziaria e un assetto della zona euro che impongono il risanamento di bilancio i 27 hanno cercato di darsi maggiore flessibilità, come testimonia anche la decisione di dare al Portogallo un anno di più - fino al 2015 - per ridurre il deficit sotto al 3% del Pil.
Nelle conclusioni del vertice, i Governi confermano la necessità di guardare ai deficit strutturali, di adottare misure di breve termine per sostenere l'occupazione giovanile, e appunto di scorporare gli investimenti pubblici dal deficit. Dal canto suo, nella lettera a Van Rompuy, Monti ha messo l'accento su tre terreni di azione immediata: strumenti più efficaci per affrontare i costi sociali della crisi soprattutto l'alto tasso di disoccupazione e in particolare quella giovanile; mobilitare tutte le leve finanziarie europee, in particolare i fondi strutturali; procedere nel confronto sugli accordi contrattuali tra gli Stati e l'Unione per "ricompensare" chi si impegna ad attuare riforme difficili.

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