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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2013 alle ore 15:18.

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Il primo Angelus di Papa Francesco è stato il saluto della città di Roma, e non solo, («Questa piazza grazie ai media è collegata con tutti») al Pontefice venuto dalla fine del mondo, ma che pare proprio che riporterà la Chiesa al centro dell'attenzione. Un discorso che ha messo di nuovo in primo piano nel messaggio apostolico la misericordia, come filo conduttore di un apostolato che sarà indirizzato verso i poveri, la pace, la tutela del creato. Pochi, chiari messaggi, che il popolo cristiano, ma anche i non credenti, hanno percepito immediatamente, vista l'enorme emozione che sta suscitando questa elezione.

Di certo la Chiesa, e in particolare il sacro Collegio, hanno capito che era maturo il tempo per un pontefice che tornasse all'annuncio della Parola in chiave universale, spazzando via con facilità tutti i giochi di Conclave che volevano (e questo è stato fino alla fine) far eleggere un cardinale espressione della Curia e, quindi, delle logiche interne di bilanciamento tra poteri di stampo "mondano", per usare un termine tornato in auge negli ultimi tre giorni. Ma le avvisaglie erano state ben percepite già la mattina del Conclave, quando il cardinale decano, Angelo Sodano (che della Curia è espressione, ma che sa evidentemente cogliere bene i segni dei tempi) nell'omelia aveva tracciato una sorta di identikit di Bergoglio parlando del passo biblico in cui si dice «Canterò in eterno le misericordie del Signore».

Misericordia, quindi, come cuore del messaggio evangelico in cui si deve stare accanto a chi sbaglia, a chi si vorrebbe condannare, e quindi perdonare. Concetti che il Papa ha espresso nella messa a Sant'Anna, e ripetuti dalla finestra del Palazzo, giusto per far comprendere a tutti che questa d'ora in avanti è la missione della Chiesa universale. Eppoi lo stile, che è chiaro e ancorato alla sostanza. Il contatto con la gente, gli abbracci, il saluto alla fine della celebrazione con i fedeli (compreso Piero Orlandi, fratello di Emanuela, con cui pare si diano detti di rivedersi, dopo i rifiuti di Benedetto XVI) come facevano i bravi parroci anni fa; la richiesta di benedizione di ognuno per le proprie tribolazioni. E l'assenza pressoché totale di autorità, berrette, valletti e gentiluomini, che avevano prosperato - e parecchio - nel precedente pontificato (forse a dispetto dello stesso Ratzinger, ma non certo di chi lo circondava).

Citati qua e là ricordi - come la "nonna" argentina che parla di perdono - un omaggio alla grande università Gregoriana, tempio di sapere gesuitico irradiato ai quattro angoli della Chiesa, un richiamo a cardinale tedesco Kasper, e cui indirettamente un gesto verso il Papa emerito, legato al porporato citato da Francesco, eppoi la preghiera per S. Ignazio di Loyola, inusuale nelle chiese italiane.

Tutto per ora è congelato in Curia: le cariche vecchie sono state confermate, ma provvisoriamente, come è stato sottolineato, e non solo per i capi dicastero, ma anche per il Segretari, quindi i loro vice (finora non era stato così). Una tempesta in arrivo? Forse il Papa gesuita agirà con decisione, ma senza sconquassi: in molti, nell'episcopato mondiale, si aspettano una mano ferma dopo anni di lotte e scandali.

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