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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2013 alle ore 18:38.

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«Il mio Sassuolo è in vetta alla serie B? Sì, probabilmente andrà in serie A. Mi auguro, a questo punto, che anche il nostro Paese rimanga in serie A». Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, conclude così il suo colloquio con Fabio Fazio, che verrà trasmesso questa sera a "Che tempo che fa" su Rai Tre. Un'intervista che ha toccato gli argomenti più diversi di un passaggio che, per l'Italia, si sta rivelando drammaticamente complicato. «Nuove elezioni? Mi auguro che, alla fine, prevalga il buonsenso.

Purtroppo non so che cosa possa accadere. Mi auguro che ci sia un esecutivo in grado di governare mettendo al centro della sua azione l'economia reale». Mentre la politica si sta avvitando, il presidente di Confidustria ha scelto la vasta platea di Fazio per illustare alcune posizioni di Viale dell'Astronomia, utili per dare impulso a un'economia che, dentro alla recessione europea, sta soffrendo molto: i consumi interni sono crollati e, stando ai dati citati nello studio televisivo dal presidente di Confindustria, dal 2007 a oggi il Pil è sceso dell'8%, mentre il volume della produzione è calato del 25 per cento.

«Per il nostro sistema industriale – dice Squinzi – nei primi 100 giorni di governo servirebbe una terapia d'urto. I cittadini sono terrorizzati e non investono più. La situazione è drammatica. Da quando faccio l'imprenditore, cioè da 50 anni, non ho mai riscontrato una condizione generale di questo tipo». Cento giorni per una terapia shock. Anche se, entro i 100 giorni, sulla scena politica potrebbe capitare di tutto, la terapia d'urto suggerita da Confindustria conserva in sé una sua validità, perché affronta nodi strutturali che prima o poi bisognerà sciogliere.

«Secondo una stima della Banca d'Italia – nota Squinzi – i crediti che le imprese hanno verso la pubblica amministrazione ammontano a 71 miliardi di euro. Di questi, 48 miliardi dovrebbero essere subito saldati per far ripartire gli investimenti e contribuire a una soluzione per il problema dell'occupazione giovanile. Il presidente della Repubblica Napolitano ha fatto bene a invitare la pubblica amministrazione a saldare questi debiti. Poi, sarebbe utile impostare una seconda fase segnata dalle riforme». Naturalmente, i nodi italiani vanno sciolti all'interno del più generale contesto europeo.

«Presidente, serve più o meno Europa?», chiede Fazio. «Di certo, più Europa. Io sarei favorevole agli Stati Uniti d'Europa. Di certo occorrerebbe un maggior coordinamento comunitario nelle politiche fiscali, sulle dotazioni infrastrutturali, sull'energia». Europa, oggi, vuol dire anche il fantasma del break-up dell'euro: «In caso di uscita dall'euro, il nostro ufficio studi ha stimato un crollo del Pil compreso fra il 30 e il 40 per cento. Torneremmo, da un giorno all'altro, un Paese povero».

L'ultimo ad avere parlato di uscita dall'euro, sostendendo la tesi che l'Italia sia ancora nella moneta unica soltanto per una scelta e una convenienza delle banche del Nord Europa cariche dei nostri titoli di Stato, è stato Beppe Grillo. «Presidente, molti imprenditori hanno votato il Movimento Cinque Stelle», ha notato Fazio. «Guardi – ha replicato Squinzi - abbiamo sottoposto il nostro programma per il rilancio dell'economia italiana a tutte le formazioni politiche. Il Movimento Cinque Stelle è l'unico che ha scelto di non vederci. Detto questo, alcune delle loro critiche al sistema sono condivisibili: penso alla battaglia sui costi della politica. Non di certo, però, le campagne a favore della decrescita felice». Un altro protagonista della vita pubblica che è intervenuto sull'euro è Sergio Marchionne, il quale ha spiegato che, con l'Italia fuori dalla moneta unica, la Fiat non farebbe più alcun investimento nel nostro Paese. «Fiat è uscita da Confindustria», ricorda Fazio. «Decideranno loro se rientrare o no. Intanto – sottolinea Squinzi – io ho avviato un rapporto amichevole con Marchionne, che mi sembra un grande imprenditore».

Il contesto internazionale, dunque, è fondamentale. Dal punto di vista industriale, ma anche della finanza di impresa. «Basta pensare a Basilea 3, che alcuni Paesi come gli Stati Uniti hanno deciso di non applicare. Se non facessimo anche noi una moratoria, sarebbe un suicidio economico. Per tutta l'Europa e per l'Italia in particolare. Su banca e impresa, anche in accordo con l'Abi, occorre capire che cosa si può fare per ridare credito alle aziende. Perché se non ripartono le imprese, la crescita del Paese non può ripartire».

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