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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2013 alle ore 15:33.

I giacimenti giganti del sud dell'Iraq? Oppure le migliori condizioni contrattuali del Kurdistan iracheno? Il dilemma davanti a cui si sono trovati i vertici della Exxon Mobil rappresenta il paradigma di come il "nuovo Iraq" sia ancora un Paese diviso, lacerato da tensioni etniche e confessionali, incapace, finora, di sfruttare nel modo più efficiente le sue grandi potenzialità.
Dopo mesi di attriti, il 27 gennaio il ministro dell'Energia iracheno, Abdu Kareem, ha rilasciato una dichiarazione che ha il sapore dell'ultimatum: «Lo abbiamo già detto chiaramente a Exxon nell'ultimo incontro: o lavorano in Kurdistan o lavorano nel sud dell'Iraq». Agli occhi di Baghdad la più grande major energetica internazionale ha commesso un peccato capitale: firmare contratti di esplorazione nel Kurdistan iracheno con le autorità curde. E averlo fatto dopo che, nel 2009, aveva vinto la gara per lo sfruttamento di West Kurna-1, un giacimento gigante da 43 miliardi di barili. Un contratto da 50 miliardi di dollari che porterà in sei anni a 2,8 milioni di barili al giorno di produzione (il doppio di quanto produce oggi la Libia).
Su un punto Bagdad è irremovibile: deve essere il governo centrale ad amministrare le rendite energetiche per poi ripartirle alle diverse province. Lo stesso per quanto riguarda le gare e la selezione dei vincitori. Il Kurdistan, regione di fatto autonoma (ha anche un suo esercito) sin dai tempi della "no fly zone" (1991) vuole invece siglare autonomamente i contratti relativi al suo territorio, e gestire esportazioni ed entrate, previa consultazione con il Governo centrale. E lo ha fatto; già nel 2007 aveva firmato 45 contratti di esplorazione per 10 miliardi di dollari, con 40 compagnie straniere - tra cui la Korea National Oil, la canadese Talisman, la norvegese Dno Intern. Società che però hanno il piede in due scarpe, come Exxon.
È un pantano normativo. L'articolo 112 della Costituzione irachena è ambiguo sull'identificazione dell'organo cui compete la gestione delle risorse. La questione doveva essere regolata dalla legge sugli idrocarburi del 2007, che avrebbe conferito parziale autorità ai poteri regionali sulle riserve presenti sul loro territorio. Legge mai approvata.
In questo limbo giuridico Exxon, lo scorso anno, ha rotto il ghiaccio, attribuendosi sei blocchi di esplorazione nel Kurdistan. Poi è stata la volta di Chevron, e ora si affacciano anche la Total e la russa Gazprom. Anche verso Total Baghdad ha rivolto duri moniti dal sapore «O noi, o loro».
Erbil ha poi iniziato a esportare il suo primo greggio. Se poi si considera la regione contesa di Kirkuk (dove si trovano ricchissimi giacimenti), rivendicata da entrambe le parti, la situazione non è incoraggiante: il referendum sullo status di Kirkuk e dei territori circostanti – che dovrebbe stabilire a chi appartengono - è procrastinato a tempo indeterminato. Nel mentre i due governi hanno schierato gli eserciti sui confini.
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