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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2013 alle ore 06:41.

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«Finora è solo un annuncio: Daniele Mancini continua a fare il suo lavoro a Delhi, senza restrizioni», riflette l'ambasciatore Giancarlo Aragona, presidente dell'Ispi, l'Istituto di studi di politica internazionale. Tuttavia anche il diplomatico, che per vocazione cerca i margini possibili del compromesso, è costretto ad ammettere che la minaccia indiana di togliere l'immunità diplomatica all'ambasciatore Mancini «è un fatto senza precedenti».
È curioso che il Paese nel quale la personalità politica più importante sia cresciuta a Orbassano minacci di arrestare l'ambasciatore italiano. In realtà l'italianità di Sonia Gandhi non è mai stata un valore aggiunto per noi. Al contrario, la vedova di Rajiv si è sempre preoccupata di fare l'opposto di quello per cui l'hanno sempre accusata i suoi oppositori politici: aiutare l'Italia. Tuttavia lo schiaffo italiano del mancato ritorno in India dei due marò e la reazione di Nuova Delhi hanno provocato una situazione pericolosa.
Al momento l'unica reale limitazione alle funzioni dell'ambasciatore Mancini è l'obbligo di non lasciare l'India. Già così è grave. Ma «mi chiedo cosa accadrebbe se il nostro Governo ordinasse a Mancini di rientrare in patria», dice Giancarlo Aragona, anche lui ambasciatore: a Mosca, Londra e segretario generale dell'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, prima di lasciare l'attività diplomatica e passare alla presidenza dell'Ispi di Milano. «Daniele Mancini non ha nessuna intenzione di lasciare l'India, sono sicuro che ha troppo da fare laggiù - spiega Aragona - ma se dovesse accadere e gli fosse impedito di partire, sarebbe un episodio inaudito».
Al quale l'Italia avrebbe l'obbligo di rispondere. «Dovrebbe applicare la stessa misura all'incaricato d'affari indiano», a Roma non è ancora stato nominato il nuovo ambasciatore. Tutti, Unione europea compresa, si augurano che la situazione venga sbloccata. Il problema è che nessuno sembra sapere come. In questa vicenda, iniziata più di un anno fa con la morte dei due pescatori del Kerala, «ogni passaggio si collega a un passaggio precedente: dipende da quale di questi si voglia prendere per costruire una via d'uscita», ammette il presidente dell'Ispi. Le autorità indiane hanno prorogato solo al 2 aprile Il divieto d'espatrio per Mancini: potrebbe essere un segnale di trattativa ma potrebbe anche non significare nulla. Non è una buona notizia che, scrivono i giornali indiani, Daniele Mancini possa essere arrestato.
L'articolo 32 della Convenzione di Vienna, che garantisce l'immunità delle rappresentanze all'estero, sostiene che se un diplomatico avvia un'azione giudiziaria nel Paese che lo ospita perde quel diritto di immunità. Ma l'articolo si riferisce a casi riguardanti la giustizia civile o penale. Se il diplomatico fa causa per un qualsiasi incidente, per esempio, non può invocare l'immunità se il giudizio cui ha chiesto di sottoporsi gli è poi contrario. Il caso dell'ambasciatore italiano a Delhi è completamente diverso. Come spiega Giancarlo Aragona, Daniele Mancini ha firmato l'impegno del ritorno in India dei due marò «per incarico del suo Governo: ha preso un impegno di natura politica. Se viene disatteso il problema è politico, non significa che l'ambasciatore sia entrato in una vicenda giudiziaria».
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