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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2013 alle ore 10:21.

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Pietro Mennea (LaPresse)Pietro Mennea (LaPresse)

L'ultima sfida, quella che non prevedeva una rivincita, ma soltanto un sorriso da spendere con la famiglia e gli amici di sempre, non è riuscito proprio a vincerla, ma nessuno gliene chiederà mai conto. Perché quando l'avversario è più forte di te, non resta che fare un passo indietro e lasciare che tutto proceda come deve andare e fine della storia. Tra le lacrime e il dolore di chi rimane. Nel silenzio del ricordo. Pietro Mennea, il grande, grandissimo atleta azzurro che per quasi vent'anni (dal 1979 al 1996) riuscì a difendere il primato mondiale dei 200 metri piani conquistato in un giorno di gloria alle Universiadi di Città del Messico, è morto stamattina in una clinica di Roma. Aveva 61 anni e da tempo lottava contro un male che non gli ha lasciato scampo. La camera ardente verrà allestita oggi pomeriggio nella sede del Coni.

Dicono che la sua partenza dai blocchi fosse piuttosto lenta, più o meno come il suo illustre collega Carl Lewis, ma poi bastavano pochi metri perché il suo movimento si facesse armonioso ed elegante, efficacissimo, vincente. Del resto, non si firma un record del mondo che rimane imbattuto per anni senza un bagaglio di qualità da primo della classe. Un talento, quello di Mennea, da raccontare sottovoce a coloro che calzano per la prima volta un paio di scarpe da ginnastica con l'idea di fare sport a livello agonistico. Come dire, ecco, guarda come si fa. Il 12 settembre del 1979, il giorno di Città del Messico, l'atletica italiana, ma più in generale lo sport tricolore, si è trasformato, è diventato qualcosa di diverso, di più maestoso, di più imponente. Con Pietro da Barletta, grazie a Pietro da Barletta, è cambiata l'inerzia dello sport made in Italy. Così, in un lampo o poco più. Diciannove secondi e 72 centesimi per entrare nella storia dalla porta principale. Mennea, che campione. Un mito per chi è nato negli anni Sessanta e vedeva in lui un simbolo di chi ce l'aveva fatta con la forza del sacrificio e della determinazione.
Un campione in pista, uno straordinario protagonista del quotidiano quando decise che era arrivato il momento di mollare le gare per dedicarsi ad altro. Sì, perché lui alle Universiadi che gli hanno consegnato onori e gioia ci era andato da studente di Scienze politiche. E non perché si dovesse fare, perché altrimenti niente Messico, ma perché ne era convinto. Lo dimostrò poco dopo, conseguendo la laurea e mettendo in pratica i suggerimenti che aveva raccolto negli anni dagli amici più cari. La velocità nelle gambe e nel pensiero, non poteva che finire bene.

La "freccia del Sud" iniziò una brillante carriera di dottore commercialista e avvocato, che lo portò a lavorare al fianco della moglie in uno studio tutto suo. Mennea il grande arrivò pure a Bruxelles con i galloni da eurodeputato. Cinque anni cinque di passione politica al servizio dei tantissimi che l'avevano applaudito via tv sulle piste di tutto il mondo. E cosa dire dei venti, proprio così, venti libri che ha scritto di suo pugno su argomenti diversi? Un prof, sì, era anche un prof. Di quelli veri.

Ha vinto tanto, tantissimo, l'atleta pugliese. L'oro olimpico a Mosca nel 1980, ma anche il bronzo a Monaco '72. E poi l'argento ai Mondiali di Helsinki del 1983, le due medaglie d'oro agli Europei, gli 11 titoli nazionali. Sempre nei 200 metri, specialità in cui per anni è stato l'avversario da battere. Per carità, era un fulmine anche nei 100 e nelle staffette 4x100 correva che era un piacere. Tuttavia, molti anni più tardi ha trovato le parole per smarcarsi da un passato ingombrante pure se avvincente ed esaltante. «Ho vinto tanto da atleta, ma non si può vivere di ricordi. Ogni giorno bisogna reinventarsi, avere progetti ed ambizioni. Perciò, quotidianamente ho tante idee e sogni che voglio realizzare. Sono impegnatissimo». Le parole di una delle sue ultime interviste, raccolte dal Corriere del Mezzogiorno nel giugno 2012, quasi un testamento, un suggerimento da trattare con cura e da seguire per alzarsi di slancio e continuare a correre. Lui, Pietro da Barletta, non ha mai smesso di farlo.

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