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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2013 alle ore 17:06.

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Nell'incredibile e tragicomica vicenda che vede protagonisti Salvatore Girone e Massimiliano Latorre la posta in gioco non include solo la credibilità e l'immagine dell'Italia ma anche il ruolo dei "tecnici" del governo Monti le cui decisioni sembra però improntate a improvvisazione e dilettantismo. Farnesina, Difesa e Palazzo Chigi avrebbero dovuto mettere in conto il rischio di rappresaglie diplomatiche o commerciali da parte di Nuova Delhi quando l'11 marzo una nota del ministero degli Esteri annunciò che "stante la formale instaurazione di una controversia internazionale tra i due Stati, i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non faranno rientro in India alla scadenza del permesso loro concesso.

"Una decisione che, pur esponendo Roma all'accusa di non rispettare i patti con gli indiani risulta giustificata dalle numerose violazioni del diritto internazionale compiute dall'India. Innanzitutto non era stata riconosciuta l'immunità funzionale che spetta in tutto il mondo ai militari in operazione e che li rende perseguibili solo dal loro Paese. Poi la Corte Suprema non era stata in grado (in un anno) di esprimersi sulla giurisdizione del caso circa la quale era stato incaricato di pronunciarsi un tribunale speciale che dovrebbe istituire il governo federale indiano. Quindi un organismo che non è previsto da nessun ordinamento giudiziario.

Al di là della parola data Roma poteva lasciare due militari in balìa di un tribunale speciale di tipo politico? Anche la rabbiosa reazione indiana al mancato rispetto dell'impegno di far tornare i marò è andata oltre ogni legittimità giuridica togliendo l'immunità diplomatica all'ambasciatore. Impedendone i movimenti e violando così la Convenzione di Vienna. Un abuso che ha costretto persino la Ue, da sempre attenta a non farsi coinvolgere nella vicenda, a censurare il comportamento di Nuova Delhi.

Roma ha (chissà perché) rinunciato ad alimentare una campagna mediatica e diplomatica per sostenere le sue ragioni ma aveva costretto gli indiani ad andare decisamente "sopra le righe". Per questo il voltafaccia di ieri sera, con la decisione improvvisa di riportare Latorre e Girone in India, sembra nascere da valutazioni prettamente economiche e legate alle rappresaglie di Delhi sull'interscambio commerciale. Valutazione che doveva essere valutata preventivamente tenendo conto che l'Italia avrebbe potuto però attuare una contro-rappresaglia ostacolando la firma ormai imminente dell'accordo che aprirà il mercato della Ue ai prodotti indiani.

Uno scarno lancio di agenzia evidenziava ieri pomeriggio che nel Consiglio dei ministri era stata espressa preoccupazione per le ritorsioni economiche indiane e anche per questa ragione le motivazioni addotte in serata da una nota di Palazzo Chigi e poi dalle dichiarazioni del sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura per giustificare il ritorno dei marò in India appaiono poco credibili se non addirittura fantasiose. Le "nuove garanzie" offerte da Delhi sono rappresentate dalla non applicabilità della pena di morte in caso di condanna dei due militari e il permesso di muoversi liberamente in attesa del giudizio e di risiedere nell'ambasciata di Delhi. Condizioni che in realtà esistevano già tutte poiché i parlamenti di Italia e India hanno ratificato nei mesi scorsi un accordo che prevede il rimpatrio degli indiani condannati in Italia e degli italiani condannati in India. Patetico poi il tentativo di De Mistura di ammorbidire la precedente decisione di far restare in Italia i due militari presentata ieri sera solo come una "sospensione" del rientro in India "in attesa che New Delhi garantisse alcune condizioni".

La decisione del governo Monti dettata dalle pressioni di Delhi sta già avendo un impatto devastante sugli ambienti militari. Questa volta non è stata l'India a catturare con l'inganno due militari italiani ma bensì Roma a consegnare due suoi soldati alla giustizia (peraltro discutibile) di un altro Stato. Un gesto a dir poco sconcertante per un Paese che impiega costantemente all'estero in aree ad alto rischio oltre 7 mila militari. Come se gli Stati Uniti dopo aver evacuato da Iraq e Afghanistan i militari accusati di violenze e omicidi di civili li avessero in seguito consegnati alla giustizia di Kabul e Baghdad. Esiste poi un aspetto umano della vicenda che riguarda l'aver illuso Girone e Latorre e le loro famiglie che l'odissea indiana era finita per poi farli ripiombare improvvisamente in un incubo del quale non si vede la fine.

Il ritorno in India dei due marò è una disfatta diplomatica e politica e una gigantesca doppia brutta figura per Roma così come l'aver infine obbedito ai diktat di Delhi conferma definitivamente l'assenza di peso internazionale dell'Italia. Ma c'è dell'altro. Quanto accaduto ieri sera rischia anche di assestare il colpo di grazia alla già scarsa fiducia dell'opinione pubblica italiana nei confronti delle istituzioni.

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