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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2013 alle ore 08:17.
Raccontare quanto di sua eventuale conoscenza sulla trattativa Stato-mafia. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato chiamato a testimoniare nel processo sull'eccidio di via D'Amelio del 19 luglio 1992. Davanti ai giudici della Corte d'Assise di Caltanissetta, dovrà rispondere ad alcuni interrogativi: quali i motivi che portarono alla sostituzione nel '92 del ministro dell'Interno Vincenzo Scotti con Nicola Mancino e le eventuali difficoltà che si riscontrarono nello stesso anno, in Parlamento, per la conversione del decreto legge sul carcere duro.
Si è aperta così la prima udienza dibattimentale nel processo sulla strage in cui persero la vita il pubblico ministero Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Alla sbarra degli imputati ci sono il boss Vittorio Tutino, Salvo Madonia e i falsi pentiti Calogero Pulci, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino. Condannati con rito abbreviato, invece, Gaspare Spatuzza (15 anni), Fabio Tranchina (10) e Salvatore Candura (12).
La decisione di chiamare a testimoniare il capo dello Stato è stata presa dalla Corte, sulla base di una istanza sollevata dall'avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino – fratello del magistrato vittima dell'attentato – che si è costituito parte civile. La lista dei testimoni, comunque, è lunga e di prestigio. Sfileranno anche l'ex capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, l'ex presidente della Camera, Luciano Violante, gli ex ministri dell'Interno e della Giustizia, Nicola Mancino e Giovanni Conso, e l'ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato. In qualità di testimoni, inoltre, sono stati chiamati anche i magistrati Ilda Boccassini e Annamaria Palma, all'epoca della strage in servizio a Caltanissetta, e l'ex capo della Polizia, Giovanni De Gennaro. Secondo decisione della Corte d'Assise, l'audizione di Napolitano non dovrà riguardare le sue «confidenze» con Mancino, «intercettate dalla Procura di Palermo» durante l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Per i giudici, infatti, sono «manifestamente irrilevanti» e la loro citazione è «lesiva della riservatezza delle conversazioni del presidente della Repubblica». Napolitano, per quanto ritiene la parte civile, potrebbe chiarire alcuni punti sullo sfondo della strage, in quanto all'epoca rivestiva la carica di presidente della Camera. Un ruolo istituzionale che gli avrebbe consentito di essere un «osservatore privilegiato di quanto accadeva nei palazzi del potere».
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