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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2013 alle ore 17:23.

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NICOSIA - Aprite quelle banche, altrimenti sarà il disastro per l'economia. Costas Christofides, vice direttore generale della Confindustria cipriota (Oeb) non usa mezzi termini. E va subito al dunque: "Lo metto subito in chiaro: al di là del malcontento sociale e di un crescente euru-scetticismo, è del tutto impensabile per la nostra economia ipotizzare un'uscita dalla zona euro. Ma se non dovesse essere raggiunto un accordo con la Troika le conseguenze per la nostra economia sarebbero devastanti. Con il serio rischio di un effetto domino al sistema bancario di altri paesi dell'euro zona in difficoltà".

All'ottavo giorno di chiusura delle banche, l'economia cipriota sta facendo la conta delle vittime: "Non abbiamo ancora dati precisi – continua Chritofides -. Ma da quando hanno chiuso le banche non è stato possibile effettuare alcun tipo di transazione bancaria. Che siano operazioni di e-banking, operazioni da conti ciprioti a conti esteri e viceversa. Tutto bloccato. Risultato le importazioni sono congelate".
E per un Paese caratterizzato da un forte deficit commerciale strutturale - nel 2012 le importazioni complessive hanno raggiunto un valore di 5,74 miliardi di euro contro esportazioni per 1,42 miliardi – vivere di soli bancomat non è possibile.

"Il settore più colpito è quello del retail, ma anche gli altri soffrono. Bene inteso: anche in caso di accordo ci aspettiamo un accelerazione della recessione 8 i dati aggiornato al 20 marzo stimano per quest'anno il Pil a -2,4%, il dato peggiore da almeno 20 anni, ndr). Riteniamo che la disoccupazione possa salire dall'attuale 15% al 20 per cento (negli ultimi cinque anni era rimasta ferma al 5%, ndr). La riapertura del sistema bancario servirà a iniettare liquidità per il working capital. Perché, in questo difficile contesto, nessuno se la sete di investire in grandi progetti, o di acquistare costosi nuovi macchinari".

Ma se davvero Cipro uscisse dall'euro. "Non voglio nemmeno pensarlo. Ritornare alla sterlina equivale assistere a una svalutazione da noi calcolata tra il 50 e il 60 per cento. Con tutti gli effetti negativi che ne conseguono, Tra le quali una di bancarotte.
Anche il settore dei servizi, che rappresenta il 70% del nostro Pil accuserebbe violenti contraccolpi".

Kostas è critico verso i partiti politici ciprioti. "Non capisco davvero i nostri politici. Non riescono a vedere i problemi dell'economia reale". Ma quando il discorso verte sulle accuse di riciclaggio mosse dall'Europa, è altrettanto critico: "Qualche mese fa un team di ispettori dell'Unione Europea è venuti qui per valutare. Il risultato è che il nostro sistema bancario ha soddisfatto 12 dei requisiti previsti. Pensate che il sistema tedesco è fermo a soli 4 apunti. Abbiamo anche accettato un organismo indipendente per continuare a verificare eventuali distorsioni nella gestione die flussi di denaro. Mi sembra che queste accuse di riciclaggio siano inopportune".

Non è solo Confindustria ad essere preoccupata. Perché, tra gli altri parametri, il rapporto tra debito pubblico e Pil della più piccola economia della zona euro (contribuisce solo allo 0,2% del Pil) sta pericolosamente lievitando. "Era al 48% del Pil nel 2008, poi è salita al 58,5% l'anno successivo. Nel 2011 è arrivato al 71% e nel 2012 sopra l'85%", ci spiega l'economista Symeon Matsis, ex direttore generale del dipartimento ministeriale della pianificazione e dello sviluppo.
Un pericoloso trend, che rischia di impennarsi nei prossimi ani - ben oltre il 100% - se il Parlamento di Nicosia, nel tentativo di salvare l'ex isola felice e impedirle una dolorosa uscita dalla zona euro, deciderà davvero di nazionalizzare i fondi pensione e varerà altre controverse misure.

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