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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2013 alle ore 08:19.

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Come era facile immaginare, la débâcle diplomatica che ha fatto tornare a New Delhi i due marò accusati dell'omicidio di due pescatori indiani ha ridato fiato a chi, nel Paese asiatico, sostiene la necessità della linea dura e spinto sulla difensiva le autorità italiane.
Le novità sono due: da una parte il governo indiano ha ridimensionato le voci di un accordo con la Farnesina per salvaguardare i due marò dal rischio di arresto e di pena di morte; dall'altra il chief minister del Kerala, lo Stato del sud dell'India dove risiedevano le due vittime, è tornato in maniera tardiva e un po' spericolata a invocare la giurisdizione delle proprie corti sulla vicenda.
Il governo indiano non ha dato al governo italiano «nessuna garanzia» sulla sentenza che sarà pronunciata dal tribunale ad hoc istituito dalla Corte Suprema. A dirlo è stato il ministro della Giustizia indiano, Ashwani Kumar, in un'intervista televisiva. «Come può il potere esecutivo dare garanzie sulla sentenza di un tribunale?», ha detto Kumar a chi gli domandava come mai il ministro degli Esteri Salman Khurshid avesse rassicurato l'Italia sul fatto che i due fucilieri non rischiano la pena di morte. «Sarà Khurshid, che è anche un avvocato, a rispondere sul perché abbia detto quelle cose», ha aggiunto Kumar.
Tirato in ballo, Khurshid - che nei giorni scorsi ha incarnato il volto più accomodante dell'esecutivo - ha dovuto a sua volta spiegare che «non c'è stato nessun accordo, né sono state fornite garanzie» nei colloqui fra India e Italia volti a permettere il ritorno dei marò a New Delhi. «Abbiamo dialogato - ha proseguito il ministro - su questioni specifiche come l'eventualità di un arresto o l'applicazione della pena di morte che erano molto sentite in Italia e in Europa e su cui abbiamo potuto fornire le nostre assicurazioni».
Il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura, il diplomatico italiano che sta seguendo la vicenda, è stato così costretto a ribadire che esiste «un'assicurazione scritta ufficiale del ministero degli Esteri a nome del governo indiano» circa il fatto che i due marò non rischiano la pena capitale. L'inviato italiano ha attribuito le parole del ministro della Giustizia indiano alla necessità di replicare a una domanda che «riguardava l'esito di una sentenza. Credo proprio che qualunque ministro al mondo avrebbe risposto con cautela», ha detto De Mistura.
Meno circospetto il commento del capo di stato maggiore della Difesa Luigi Binelli Mantelli che ha auspicato la conclusione in tempi rapidi di «una vicenda che sta sempre più assumendo i toni di una farsa» e «la restituzione alla giurisdizione italiana» dei due marò.
Nonostante la centralità assunta nelle ultime ore dalla questione della pena di morte, secondo più di un diplomatico italiano si tratterebbe di un falso problema. Sia per l'estrema rarità con cui viene comminata dai principali tribunali del Paese, sia perché tra India e Italia vige un accordo per la reciproca restituzione dei condannati. Senza contare che l'impiccagione di due militari stranieri di un Paese amico avrebbe conseguenze talmente gravi per New Delhi che una grazia presidenziale sarebbe altamente probabile.
L'altra novità della giornata di ieri è stato il ritorno sulla scena del chief minister del Kerala Oommen Chandy che ha chiesto al primo ministro indiano Manmohan Singh che il tribunale speciale che dovrà decidere prima sulla giurisdizione del caso e poi eventualmente sul merito, venga istituito in Kerala.Le chance di successo della sua richiesta sono pressoché nulle, anche in virtù del fatto che la macchina burocratica per la creazione di una corte nella capitale è già partita.
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LA PENA DI MORTE IN INDIA
Un'ipotesi rara
La pena di morte può essere applicata solo nei casi più gravi - i «più rari dei rari casi» - di omicidio, rapina con omicidio, istigazione al suicidio di minori e malati di mente, terrorismo e istigazione all'ammutinamento delle forze armate. In particolare è prevista per i delitti d'onore. Viene realizzata attraverso l'impiccagione. Mancano statistiche ufficiali o comunque affidabili su condanne ed esecuzioni.
La grazia
Il presidente indiano può concedere la grazia e questo avviene piuttosto spesso: durante il suo mandato, tra il 2007 e il 2012, il presidente Patibha Patil l'ha concessa a 35 persone, scatenando molte proteste. È stata rifiutata però a Mohammad Ajmal Kasab, militante di un'organizzazione islamista responsabile dell'attentato di Mumbai del 2008, che è stato segretamente impiccato il 21 novembre 2012.

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