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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2013 alle ore 16:47.

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I conti da pagare alla crisi di Nicosia saranno almeno due. C'è quello immediato che finirà per pesare - dopo aver alzato l'asticella del sacrificio sopra i 100mila euro - su qualche ricco oligarca russo e su qualche benestante commerciante locale. E c'è un conto occulto assai più salato e gravoso che rischia di avere effetti più dirompenti.

Ed è il conto della fiducia. Quella fiducia che va ad evaporare grazie alla avventata cura della Trojka, che, come nel caso della Grecia, finisce per far ricadere sui creditori privati il prezzo del presunto salvataggio. Se si toccano i conti correnti dentro le banche e questa diventa una delle vie dei possibili salvataggi futuri dei Paesi, allora si ottiene un gigantesco effetto collaterale. Che è quello della fuga dei depositi dalle banche dei paesi considerati a rischio. E non c'è peggior male per una banca che veder erodere la sua base di disponibilità finanziaria. Ci si avvita e si fallisce in un battibaleno.

In fondo è un copione già terribilmente visto e che purtroppo non ha insegnato nulla alle autorità politiche europee. Come non ricordare che dalle banche greche sono fuggiti man mano che la crisi si manifestava capitali per almeno 70 miliardi. Come non ricordare l'emorragia dai conti correnti delle banche di Madrid che hanno visto defluire oltre 60 miliardi in pochi mesi. E senza andare troppo lontano come non ricordare che anche dall'Italia nel pieno della crisi tra il 2011 e l'estate del 2012 decine di miliardi di depositanti stranieri hanno preso la via di casa. Il problema è che quei soldi una volta usciti da un sistema bancario di un paese fragile non tornano più. Una prova? Tuttora, secondo i dati dell'Abi, mancano all'appello nelle casse delle banche italiane almeno 40 miliardi di depositanti esteri. Per fortuna, per le nostre banche, ha tenuto la fiducia dei risparmiatori italiani che hanno più che compensato l'abbandono degli sportelli da parte della clientela straniera.

È questa in estrema sintesi quella che i tecnici chiamano la balcanizzazione del sistema bancario, una frammentazione pericolosa che porta le banche del Sud Europa a veder impoverite le proprie casse a favore delle banche del Nord Europa, Germania in testa. Già perchè quei capitali escono dagli istituti dei paesi a rischio per andare a gonfiare gli attivi delle banche del Nord. Quel fenomeno gigantesco che, come ha mostrato l'Fmi, ha visto uscire da Italia e Spagna nell'acme della crisi la bellezza di quasi 500 miliardi di euro, si è ora ridimensionato. Grazie alle manovre di Draghi e alla decisione della Bce di predisporre la rete di sicurezza dell'Omt, gli acqusiti di bond di paesi in crisi dal parte di Francoforte. Ma se l'emorragia si è arrestata, il dramma è che la divaricazione tra Nord e Sud Europa è ormai un fenomeno strutturale. Basta vedere le posizioni nette tra creditori e debitori all'interno dell'eurozona che vedono la periferia dell'eurozona debitrice per 820 miliardi e la Germania in saldo attivo per 620 miliardi.

Una situazione che finisce per avere un effetto collaterale pesante. I capitali usciti dalle banche dei paesi fragili alimentano i depositi delle banche tedesche, finlandesi, olandesi che possono permettersi una potente leva sui prestiti a tassi tra l'altro bassissimi. Ciò finanzia l'economia reale di quei paesi. Al contrario la penuria di depositi esteri sulle banche italiane e spagnole le costringe ad abbassare i prestiti a imprese e famiglie strozzando la già fragile congiuntura economica della periferia dell'eurozona. I dati sui prestiti sono infatti inequivocabili. In Italia il calo è stato, solo nel 2012, del 3%; in Grecia del 7%; in Spagna del 4%, mentre in Olanda la crescita dei prestiti è stata del 6% e in Germania del 3%. E così ci si ritrova con un'Europa delle banche spezzata in due. Floride, anche grazie all'apporto dei depositanti in fuga prima da Grecia e Spagna e domani da Cipro, nei paesi de Nord e fiaccate nei paesi dell'eurozona.

Se non si ricompone la balcanizzazione del sistema bancario, la stessa tenuta dell'euro è a rischio e la cura per Cipro non è certo la medicina più adeguata. Al contrario. Crea le premesse per una ulteriore frammentazione dei sistemi del credito. Eccolo l'autogol dell'Europa a Cipro.

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