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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2013 alle ore 07:51.

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Walter
Riolfi Quando, alle 15.37, Reuters lancia le prime battute dell'intervista a Jeroen Dijsselblom, le Borse europee cominciano ad andare in rosso seguite, poco dopo da Wall Street. Ma in quel momento, Piazza Affari era già sotto dell'1,6%, trascinata al ribasso dai titoli bancari a causa di voci, rincorsesi per tutta la mattinata, di un imminente taglio del rating sovrano da Moody's. La cosa paradossale è che, mentre alle 15.37 i titoli UniCredit e Intesa perdono entrambi più del 4%, il Btp decennale quota ancora invariato rispetto alla chiusura di venerdì. Anche alla fine, il Btp si ritrova a rendere 8 trascurabili centesimi in più, mentre le banche italiane contano perdite tra il 5 e il 6%. Chi investe in titoli di Stato ritiene d'essere tutelato dal meccanismo salvastati (Omt) escogitato dalla Bce. Chi investe in azioni ha trovato invece nelle parole di Dijsselblom un ulteriore motivo di rischio per i titoli bancari.
L'impressione è che entrambe le categorie di investitori stiano esagerando nelle loro reazioni. Quelli che comperano Btp perché danno per scontato che l'Italia chieda l'attivazione del meccanismo Omt, quando dalle elezioni è uscita invece una maggioranza contraria alle misure d'austerità. Quelli che vendono azioni perché le "improvvide" parole del capo dell'Eurogruppo rappresentano un pensiero dominante nell'Europa dei Paesi virtuosi e, ben prima del «modello Cipro», hanno avuto un precedente nel salvataggio delle banche irlandesi, due anni fa, e in quello dei nazionalizzati istituti spagnoli adesso. Se una banca dev'essere ricapitalizzata, perché insolvente, sono chiamati a contribuire, oltre agli azionisti, anche coloro che, «se necessario», hanno un deposito. La banca senza rischi non esiste più e la soluzione raggiunta per Cipro, così commenta Franco Bruni, docente di politica monetaria alla Bocconi, ha elementi di rigore concettuale legati al fatto che, al di là dei depositi assicurati di piccole dimensioni, le passività delle banche fanno parte delle risorse da utilizzare in caso di fallimento».
La soluzione adottata per Cipro (così come per l'Irlanda o la Spagna) lascia intendere che la banca centrale europea e i fondi di salvataggio potranno intervenire per salvare gli Stati, ma non le banche. Il principio è da tempo ribadito dal Governo tedesco (e pure da buona parte dell'opposizione) e condiviso da Paesi come Olanda, Austria e Finlandia e, per questo, non può apparire inatteso. Tanto più è strano che venga giudicato sorprendente da chi opera in Borsa, poiché nei (non frequenti) casi di banche insolventi c'è sempre stata la consapevolezza del rischio e delle conseguenti forti perdite nell'investimento azionario.
Forse sarebbe più ragionevole preoccuparsi per la spirale di invocato rigore e di scemante disponibilità al soccorso che si respira in Eurozona, specie da quando è iniziata la campagna elettorale in Germania. L'idea che il modello Cipro, possa essere trasferito dalle banche agli Stati, sta prendendo piede nelle istituzioni tedesche. E a Berlino c'è chi già invoca una tassa patrimoniale in Italia per tagliare il debito del nostro Paese.
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