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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2013 alle ore 07:19.

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All'estero risiede già una parte cospicua, e in chiaro, della ricchezza nazionale. I dati diffusi dal dipartimento delle Finanze sono indicativi. Nel 2011, tra beni immobili e risorse di altra natura erano circa 40 i miliardi che si trovavano fuori dai confini italiani. Dal computo sono naturalmente escluse le decine di miliardi espatriati in modo occulto. Tra quelli regolarmente censiti vi sono 21 miliardi investiti nel mattone e 18,5 su attività finanziarie diverse. Si tratta di redditi su cui vengono regolarmente pagate le imposte, dichiarati nel quadro RW del modello Unico.

Non stiamo, dunque, parlando di "renitenti al fisco". Ma di lavoratori autonomi, imprenditori, lavoratori dipendenti e pensionati i cui redditi si formano all'estero. In paesi della Ue oppure no.
Già perché la libera circolazione dei capitali è un fatto oramai metabolizzato in tutta l'Unione. E dunque trasferire i propri soldi all'estero è possibile non solo per situazioni estreme, ma pure per calcoli di diversa natura e per particolari esigenze commerciali, oltre che per scelte di vita. Sulla reale e concreta convenienza di una scelta simile esistono scuole di pensiero differenti e molto dipende dalla motivazione che sottende a questa opzione. Non sembra, per esempio, che la fiscalità sia un reale motivo di espatrio. Il trattamento impositivo dei beni detenuti all'estero è esattamente lo stesso di quello usato per i beni domestici. Ed è stabilito dal decreto legge Salva Italia: il 201 del 6 dicembre 2011 all'articolo 19 (commi 18 e 22). Chi avesse deciso di aprire un conto corrente, un deposito titoli o una gestione patrimoniale, presso un intermediario estero, non importa se comunitario o extracomunitario, pagherà un'imposta annuale pari all'uno per mille del valore delle attività finanziarie per il 2011 e 2012.

L'imposta sale al 1,5 per mille nel 2013. Dunque per ciò che riguarda il fisco non c'è alcuna differenza. Né la cosa sembrerebbe mutare nel caso di un'eventuale patrimoniale sui depositi. «Sarebbe tutto da verificare – spiega Fabrizio Vedana di Unione fiduciaria – se eventuali conti aperti in altri Paesi siano davvero al sicuro da eventuali prelievi. Ma ritengo di no». E allora perché si dovrebbe optare per aprire un conto di deposito presso una banca di un altro paese? Non sembra che neppure i rendimenti (vedere grafico in basso) siano una ragione sufficiente per sobbarcarsi un simile "traffico". Chi volesse mettersi al riparo dal rischio di un ipotetico "euro collapse" e dirigersi verso la Germania (una eventuale conversione sarebbe in "euromarchi", considerati più solidi) dovrebbe mettere in conto una remunerazione del capitale a tassi inferiori all'1% all'anno, e così in Austria. E la media dei tassi praticati alle famiglie sui nuovi depositi dice che tra l'Italia e altri Paesi dell'area Ue non siano poi così differenti. Un'altra strada, se si ha davvero paura dei capitomboli dell'euro è quella della Svizzera.

Una strada senz'altro percorribile. Ma anche qui non si creda che le cose funzionino diversamente. I rapporti con il fisco italiano sono identici. Se il denaro è regolarmente dichiarato nel quadro RW le tasse vanno pagate nel paese d'origine. Nel caso della Svizzera poi vanno fatte alcune valutazioni preliminari. Innanzitutto molte banche elvetiche prevedono delle soglie di deposito piuttosto elevate in alcuni casi non si scende sotto il mezzo milione di euro. E i loro costi sono tutt'altro che a buon mercato. L'inserto de Il Sole-24Ore, «Plus24» nel 2010 e nel 2012 ha "testato" sul campo l'accoglienza riservata dagli sportellisti all'investitore italiano in trasferta, ricavandone la certezza che la locale regolamentazione antiriciclaggio abbia radicalmente modificato l'approccio con il cliente dell'istituto di credito. Non più apertura incondizionata di conti, ma una stringente disamina delle origini dei capitali versati, del cliente, e del suo profilo. Per conti di caratura e dimensione inferiori esiste pur sempre la strada delle Poste svizzere che offrono conti per tutte le capienze. Ma tecnicamente non si tratta di una banca a tutti gli effetti.

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