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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2013 alle ore 08:43.

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«Quello che chiediamo è che questo percorso non venga impedito. Cercando di trovare un quadro in cui ciascuno possa almeno parzialmente riconoscersi e prendersi la sua parte di responsabilità. Si può appoggiare, sostenere, consentire la nascita di questo governo oppure anche opporsi ma in un quadro di condivisione sul piano istituzionale». Pier Luigi Bersani, al termine della prima e più importante giornata di consultazioni con i partiti, non aggiunge alcun numero al suo pallottoliere.

Angelino Alfano chiede un coinvolgimento del Pdl nel governo e voce in capitolo sull'elezione del prossimo inquilino del Colle, Roberto Maroni si accoda in nome della coalizione e Scelta civica resta alla finestra limitandosi ad auspicare maggiore condivisione. Tutto questo mentre il Movimento 5 stelle, che stamani chiuderà il giro di consultazioni, ribadisce il suo no al tentativo del segretario del Pd con un voto unanime dei gruppi parlamentari («no a Bersani neanche se si mette in ginocchio», riassume la capogruppo grillina alla Camera Roberta Lombardi).

Eppure Bersani non desiste («ci siamo dati altre 48 ore», dice al termine dell'incontro con la delegazione del centrodestra) e le trattative restano in effetti aperte su due fronti: la garanzia di una scelta condivisa sull'elezione del presidente della Repubblica e un ruolo di primo piano in quella Convenzione per le riforme istituzionali messa in campo dal segretario del Pd nell'ottica del «doppio binario», ossia cambiamento al governo con chi ci sta e larghe intese con tutti per riformare la legge elettorale, dimezzare i parlamentari introdurre una Camera delle autonomie. La presidenza di questa commissione redigente esterna sulle riforme, composta da parlamentari e anche da rappresentanti delle Autonomie, dovrebbe andare a un esponente del Pdl, magari lo stesso Alfano. Ma potrebbe essere addirittura il Cavaliere – ieri assente per "motivi personali e non politici" dall'incontro con il premier pre-incaricato – a guidarla.

Sì al doppio registro o binario, dunque. Ma i numeri chiesti dal Capo dello Stato? Bersani dice chiaramente che ci sono varie forme per consentire a un governo di nascere, anche uscire dall'Aula del Senato al momento della fiducia (l'astensione, va ricordato, a Palazzo Madama vale voto contrario). A Largo del Nazareno – sempre che il Cavaliere alla fine decida di buttarsi nell'avventura riformatrice e si senta garantito sul fronte del Colle – immaginano uno schema "variabile", con l'uscita dall'Aula del Pdl e il voto favorevole della Lega oppure con l'uscita dall'Aula di Pdl e Lega e il voto favorevole del neonato Gruppo autonomie e libertà magari appositamente rinforzato con qualche altro innesto dal centro-destra: composto da esponenti provenienti da Grande Sud, Pdl, Lega e Movimento per le autonomie, il Gal è stato ricevuto ieri da Bersani insieme a Pdl e Lega. A conferma che l'operazione è stata voluta e autorizzata da Berlusconi proprio per lasciarsi aperto il varco di un appoggio indiretto.

Ieri sera la strada del governo Bersani appariva a molti democratici meno in salita rispetto ai giorni scorsi, nonostante le distanze ribadite in conferenza stampa da Alfano. Il segretario del Pdl ha effettivamente chiesto durante l'incontro un coinvolgimento nel governo del suo partito e della Lega, ma su questo punto Bersani è stato fermissimo: non ci sono le condizioni politiche per un governo delle larghe intese. «Sarebbe come mettere il coperchio sulla pentola a pressione, devo dare un segnale concreto e vero di cambiamento», ha spiegato il segretario del Pd ai suoi interlocutori. L'unica strada resta appunto quella del doppio binario. «Le difficoltà restano, ma si comincia a capire meglio cosa intendo per "doppio registro" e per Convenzione per le riforme», ha detto Bersani al termine delle consultazioni di ieri.

Certo la giornata di ieri, con le irrituali dimissioni del ministro degli esteri Giulio Terzi per la vicenda dei marò, ha rappresentato «un 8 settembre del governo tecnico» per molti parlamentari, sia del Pd che del Pdl. Non a caso il capogruppo azzurro alla Camera Renato Brunetta, dopo le consultazioni con Bersani, notava che «la vicenda ci insegna quantomeno qualcosa sui governi tecnici». Quello che serve è un governo politico: su questo avrebbero concordato sia il Pdl sia la Lega. Ancora 48 ore, dunque, per capire se il governo Bersani potrà partire con la stampella più o meno vistosa di Pdl e Lega. Poi Bersani riferirà al Colle, probabilmente già giovedì come previsto.

Il tempo supplementare serve anche a ridisegnare la mappa del totoministri, che dovranno essere quantomeno non sgraditi al centrodestra: insomma, più difficile che dentro ci siano Roberto Saviano e don Ciotti, più probabile che ci siano figure anche di centrosinistra ma dal profilo "affidabile" agli occhi del Cavaliere. Come ad esempio i ministri montiani Fabrizio Barca e Renato Balduzzi.

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