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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2013 alle ore 22:26.

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Musicista, oppure intrattenitore, oppure cabarettista. Autore di canzoni rock, oppure su Milano, oppure sul lavoro, oppure sul... mah.. cose come parlare con i limoni o mangiare le acciughe. Medico (cardiologo, per la precisione), oppure musicista, oppure Enzo Jannacci. Nato a Milano il 3 giugno del 1935 e morto oggi, sempre a Milano, dopo più di cinquant'anni sulla scena.

Su molte scene, in realtà: quelle musicali, quelle teatrali, quelle televisive. Perché Jannacci era tutto questo e anche altro. Dagli anni Cinquanta aveva messo le sue competenze musicali (era diplomato in armonia e composizione al Conservatorio di Milano) al servizio del rock'n'roll ma anche del teatro o della canzone meneghina, e coltivando sempre quel filone demenziale che ha regalato degli evergreen come Una fetta di limone o Vengo anch'io.. no tu no.

Enzo Jannacci ci manca da poche, pochissime ore e siti e agenzie faticano a descriverlo. Cantante, comico, musicista, attore, qualcuno azzarda «poeta», altri riassumono in «cantautore». Tutte definizioni che finiscono per stare strette al «fratello di Giorgio Gaber» (così disse, ai funerali dell'amico Giorgio, suo compagno n

egli Ja-Ga Brothers) e che sicuramente lo stesso Jannacci avrebbe preso a bersaglio per la sua costante, irriverente, talvolta caustica ironia. Un'ironia che sconfinava volentieri nel non sense, come negli anni in cui vigilava su Cochi e Renato, Il poeta e il contadino, e intonava con loro La vita l'è bela o La canzone intelligente. O magari serviva, quella stessa ironia, a liquidare con una battuta i versi di un condannato a morte che rifiutava l'ultima sigaretta: «Grazie, non fumo / prima di mangiar» (Sei minuti all'alba).

Tutto questo ci ha presentato Enzo Jannacci, in oltre cinquant'anni di carriera «senza andare fuori tempo», come recitava il titolo di una sua raccolta del secolo scorso (era il 1989, gli anni erano «Trenta»). C'era, costante, la voglia di comporre musiche e testi «pop» senza essere scontati, con più di un'incursione nel jazz che era stato del resto il suo genere all'esordio. E c'erano alcuni grandi temi attorno ai quali il mondo di Jannacci ruotava volentieri: Milano e il suo dialetto, i «barbùn» e le loro vicende «roba minima» (El purtava i scarp de tennis), gli amori perlopiù incompresi o grotteschi (La luna l'è una lampadina, La forza dell'amore), il lavoro quotidiano (Vincenzina e la fabbrica), per arrivare a composizioni surreali (Ci vuole orecchio) o per spostarsi nella satira (Quelli che..).

E in Quelli che ci sarebbe stato bene anche qualche verso per quelli che scrivono un articolo cercando di spiegare chi è stato Enzo Jannacci. Se me lo dicevi prima, che ti serviva questo articolo...

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