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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2013 alle ore 10:29.

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"Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum". L'invocazione fende l'oscurità della sera attorno al Colosseo, dà un brivido lacerato di vita nell'umida notte romana. Suggestiva la scena, toccanti le immagini che da questo luogo hanno rimandato alla storia di quel venerdì vissuto nell'antica Gerusalemme.

Tra il Pretorio di Pilato, collocato all'angolo nord-occidentale della spianata del Tempio, poi da lì alla casa di Erode Antipa, il quale dopo averlo interrogato lo rimanda nuovamente a Pilato, che lo consegna alla folla che lo vuole crocifisso. E ancora il percorso di alcune centinaia di metri, tanti sono dal Palazzo di Pilato al Golgota, dove oggi sorge la Basilica del Sepolcro. Qui, "Erano le nove del mattino quando lo crocifissero", secondo l'evangelista Marco.

Venerdì santo, giorno di silenzio e di mestizia in tutte le chiese del mondo. Non ci sono celebrazioni eucaristiche, dopo le funzioni solenni del giovedì. Del ricordo dell'istituzione dell'eucarestia, del "comandamento nuovo", dell'amatevi "come io ho amato voi" . Per i credenti il venerdì santo è il giorno della Passione e morte del Cristo. Papa Francesco come da tradizione, celebra "questo venerdì", al Colosseo, ripercorre le tappe del racconto evangelico.

Assorto, completamente immerso in questo mistero di salvezza e di grazia, veicolato da una morte assurda e senza senso "Mentre conducevano via Gesù, fermarono un certo Simone di Cirene, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù" così racconta il Vangelo di Luca. Quasi nelle sembianze di Simone di Cirene, papa Bergoglio, sa di avere anche lui sulle proprie spalle una croce. Sa che segue Gesù e sa ciò che questo implica: prendere la croce, l'ha spiegato in questi giorni, significa abbandonare le proprie certezze, uscire da se stessi per mischiarsi nelle faccende quotidiane. Portare Cristo nelle miserie di ognuno, e dire che solo Lui ci può tirar fuori da ogni situazione.

Sa che camminare con Cristo significa morire e risorgere con Lui, perché solo Cristo sa trasformare questa morte che rende sempre vera la resurrezione. La croce, le torce accese. La processione, percorre il cammino ovale del Colosseo, fermandosi stazione dopo stazione. I testi per le meditazioni sono stati preparati quest'anno da tra giovani del Libano - guidati dal cardinale Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei maroniti - e si soffermano sul valore della sofferenza di Cristo, come valore redentivo e di salvezza. In questo modo, si sono espressi a nome di quanti soffrono e hanno trasmesso la speranza della risurrezione.

Sono altresì un grido contro l'ingiustizia, un invito a riscoprire il valore della pace, una testimonianza di solidarietà verso quanti soffrono. Gli alberi, come gli ulivi nel Getzemani separano il Colosseo dal Palatino, nascondendovi la folla di persone che con le fiaccole disegnano coreografie incontrollate in questa notte di inizio primavera. "In questa notte - dice Papa Francesco a conclusione della Via Crucis -.deve rimanere una sola parola croce. La croce stessa è la parola con cui Gesù ha risposto al male del mondo. La sua risposta è la croce, che è amore, misericordia, perdono. Dio ci giudica amandoci, se accolgo il suo amore, sono salvato".

Poi precisa ancora, ricordando che per i cristiani, la parola della croce, ovvero la sofferenza, l'incomprensione, il dolore, se offerti e donati a Cristo, hanno valore salvifico. Diventano la risposta dei cristiani, l'unica risposta che i cristiani devono dare al male del mondo. Al male si risponde con il bene. Al dolore si risponde con l'amore. E' breve il suo discorso, ma tanto semplice quanto denso e ricco. Conclude così: "Gesù ci ama tanto!. E' tutto amore!". Poi i saluti e il rientro in Vaticano. Mentre la folla lascia la zona, ancora ritornano alla mente le parole ultime di papa Bergoglio. "Gesù, ci ama tanto!. E' tutto amore". Nelle tenebre delle nostre notti, ora possiamo contemplare la croce, che potrà, se lo accettiamo, d'ora innanzi rischiare il nostro cammino.

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