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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2013 alle ore 07:17.

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di Nino Amadore

PALERMO - Il re del vento ha perso il trono e il patrimonio. Da oggi Vito Nicastri, imprenditore alcamese, 57 anni, non è più in possesso del suo immenso patrimonio accumulato, sostengono i giudici che ne hanno disposto la confisca, grazie alle sue potenti amicizie all'interno del vasto arcipelago mafioso tra Sicilia e Calabria e non solo. Lui che ad Alcamo in provincia di Trapani fino a qualche anno fa era conosciuto come semplice elettricista grazie a quelle frequentazioni criminali è riuscito a diventare nel breve volgere di qualche anno un imprenditore dell'eolico, il più grande imprenditore dell'eolico e tra i più importanti del Paese, partner indiscusso delle multinazionali che in Sicilia sono arrivate per investire in questo settore pulito solo di nome visto che era completamente in mano alla mafia.

Certo hanno avuto un peso le amicizie tra i capimafia (da Salvatore Lo Piccolo all'onnipresente Matteo Messina Denaro, tra l'altro capo del mandamento mafioso di Trapani in cui Nicastri vive e in cui ha fatto gran parte dei suoi affari). Ma l'imprenditore di Alcamo ha potuto contare anche su amicizie e collusioni di non poco conto all'interno dell'apparato burocratico della regione e probabilmente anche tra la classe politica isolana che per anni ha frequentato. Grazie a queste amicizie la sua attività iniziale di cosiddetto sviluppatore (progettista di impianti e procacciatore di progetti) si era evoluta diventando vera e propria attività imprenditoriale.

Fino al 2010 Nicastri ha fatto il lavoro sporco preparando la strada a chi poi avrebbe sfruttato il parco eolico procurando i terreni, lavorando al fianco delle amministrazioni locali, convincendo contadini e sindaci, seguendole pratiche autorizzative. Per questo lavoro Nicastri si faceva pagare bene arrivando a incassare dai 15 ai 20 milioni per un parco eolico di medie dimensioni. Del resto era lui che si sporcava le mani infilandosi in un ambiente in cui bisogna oliare i posti giusti per accelerare le pratiche. Nicastri in breve era riuscito a diventare il titolare di più della metà dei progetti che hanno passato l'esame dell'assessorato all'Industria e dell'assessorato al Territorio e ambiente.

Ed è ancora recente la denuncia fatta sulle colonne del Sole 24Ore dall'ex direttore generale dell'assessorato regionale all'Energia Gianluca Galati da cui dipendono molte autorizzazioni in questo delicatissimo settore: «Le richieste di autorizzazione delle imprese non venivano mai protocollate: erano accatastate negli stanzoni e persino nei bagni». Una fonte ci parla in modo anonimo delle pratiche illecite e corruttive che sono state in uso al dipartimento Energia della Regione Siciliana negli anni d'oro degli ecoincentivi, quelli compresi tra 2005 e inizio 2011, e dei personaggi in odore di mafia ai quali è stato consentito di entrare e uscire da questi uffici. «C'era un caos organizzativo voluto: 15-16mila istanze che aspettavano di essere esaminate, alcune addirittura dal 2006, e corsie preferenziali per amici e raccomandati».

C'è di tutto, insomma, in questa storia: c'è la mafia ma c'è anche la burocrazia corrotta e politici collusi. C'è il funzionario regionale che si dice pronto a dare una manina e la dà in cambio di un parco pure per lui. Nicastri, che ha avuto dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani presieduta da Pietro Grillo anche la misura del soggiorno obbligato, sa discutere con questi soggetti e anche con altri molto interessati allo sviluppo dell'affare eolico: alla mafia, hanno spiegato gli investigatori nel 2010 quando è stato eseguito il sequestro dei beni del "re del vento", è interessata al cemento, ai terreni, alla guardiania. Una filiera del malaffare che è stata ricostruita nei dettagli anche in questo caso. Che ha funzionato nell'eolico ma anche nel fotovoltaico.

Ed è grazie a questa filiera del malaffare che Nicastri ha accumulato un patrimonio immenso: società e partecipazioni societarie (43), 98 beni immobili (palazzine, ville, magazzini e terreni), 7 beni mobili registrati (autovetture, motocicli ed imbarcazioni), 66 disponibilità finanziarie (rapporti di conto corrente, polizze ramo vita, depositi titoli, carte di credito, carte prepagate e fondi di investimento). Per un valore complessivo di oltre 1 miliardo e 300 milioni di euro.

Lui, del resto, secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori con gli ambienti criminali aveva una certa consuetudine: nel 1994 Nicastri finisce nei guai insieme al fratello Nicola con l'accusa di aver versato tre miliardi di lire al segretario dell'allora assessore all'Industria della Regione siciliana Luigi Granata. Torna poi in affari ma si premura, raccontano i pentiti, di trovarsi una buona protezione che arriva grazie alla benedizione di Leoluca Bagarella: alla mafia, per sdebitarsi, avrebbe pagato 200 milioni.
I suoi protettori incassano e non fanno mancare il loro interessamento: secondo gli investigatori e a questo punto i giudici, la valenza assunta dall'imprenditore trapanese nell'ambito di "Cosa nostra" trova riscontro anche nell'interessamento alle vicende imprenditoriali del Nicastri dei noti boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, come rilevano i "pizzini" rinvenuti in occasione del loro arresto.
Nicastri, nei cui confronti sono stati riscontrati, in passato, interessi anche all'estero, è stato pure coinvolto in alcune operazioni di polizia fra cui quella denominata "Eolo", che ha svelato il coinvolgimento di cosa nostra nel lucroso affare della realizzazione delle centrali eoliche nella provincia di Trapani. Ha intrattenuto rapporti con soggetti della consorteria mafiosa del trapanese, molti dei quali ritenuti vicini a Matteo Messina Denaro.

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