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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2013 alle ore 14:11.

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Regina Bianchi (Ansa)Regina Bianchi (Ansa)

C’era una volta l’Italia dell’antica tradizione teatrale e dell’industria cinematografica da esportazione. Fu protagonista dell’una e dell’altra Regina Bianchi, attrice leccese di nascita e napoletana d’elezione che se n’è andata ieri a Roma alla nobile età di 92 anni.

Il suo volto sarà per sempre quello dell’indimenticabile «Filomena Marturano» di Eduardo De Filippo. «Se sono Regina Bianchi lo devo a lui e questo non posso scordarlo», dirà in un’intervista, memore del contributo fondamentale che il commediografo partenopeo ebbe nella «costruzione» del suo stile interpretativo. Da generosa donna del Sud conosceva molto bene il sentimento della riconoscenza. I funerali si terranno lunedì prossimo a Roma, nella chiesa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, in quel quartiere Trieste che aveva eletto a sua dimora.

Il cordoglio di Napolitano

La piange tutta l’Italia, ma soprattutto chi ne capiva e apprezzava fino in fondo l’arte. Tra questi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, a poche ore dalla notizia, ha scritto ai familiari: «Mi associo con sentimenti di intensa partecipazione al cordoglio del mondo dello spettacolo per la scomparsa di Regina Bianchi. Conobbi e desidero ricordare in modo particolare Regina Bianchi grande attrice, di scuola e storia napoletana, che legò il suo nome al teatro di Eduardo De Filippo, interpretandolo con somma finezza e autenticità. La sua è una splendida figura che viene a mancare nella vita artistica del nostro Paese».

Tra Viviani e i De Filippo

Leggi la sua biografia e hai la sensazione di sfogliare contemporaneamente un libro di storia del teatro e uno di storia del cinema italiano. Di origini francesi (il suo vero nome era Regina D’Antigny) nacque a Lecce nel Capodanno del 1921. Figlia d’arte, solo sette giorni più tardi farà la sua prima apparizione sul palcoscenico nei panni di un neonato. Cresce con il teatro napoletano: a 16 anni viene scritturata per la prima volta da professionista, nientemeno che da Raffaele Viviani, quindi approda nella compagnia dei fratelli De Filippo: Eduardo, Peppino e Titina. Giovanissima, s’impone come una delle più apprezzate interpreti del teatro in lingua napoletana. Anche Cinecittà si accorge di lei: il debutto sul grande schermo arriva nel 1939 con «Il socio invisibile», dramma di Roberto Roberti. Un anno più tardi, nella seconda parte femminile del film «Il ponte di Vetro», si ritrova diretta da Goffredo Alessandrini, nome di punta del cinema del periodo fascista che diventerà suo compagno di vita. Non abbandona i De Filippo. Anzi: com’era inevitabile che fosse, si ritrova risucchiata dalle complesse dinamiche artistiche e familiari della famiglia. E nel 1944, quando i due fratelli De Filippo si separarono e nella Napoli rasa al suolo dai bombardamenti sembra non si parli d’altro, Regina fa una scelta di campo tutt’altro che comoda, mettendosi al servizio della nuova compagnia fondata da Peppino.

La musa di Eduardo

Per 15 anni abbandona le scene, dedicandosi esclusivamente alle due figlie avute con Alessandrini, ex marito di Anna Magnani che premeva per questa scelta. Il ritorno in palcoscenico avvenne sul finire degli anni Cinquanta, come protagonista di grandi piece del teatro di Eduardo: fra le più apprezzate, la parte principale in «Filumena Marturano» ma anche quelle di lavori quali «Sabato, domenica e lunedì», «Napoli milionaria!» e «Questi fantasmi», modellati sulla sua dirompente personalità. Diventa così punto di riferimento di tutti i grandi registi che ambiscono a portare un pezzo di Napoli sul grande schermo: Vittorio De Sica la vuole ne «Il giudizio universale» (1961), Nanny Loy la sceglie per «Le quattro giornate di Napoli» (1962) che gli valsero il Nastro d’argento. Più avanti Paolo e Vittorio Taviani penseranno a lei per il film pirandelliano «Kaos» (1984) mentre Alessandro Di Robilant la dirigerà ne «Il giudice ragazzino» (1994). Tra le apparizioni per il piccolo schermo, si ricorda la parte di Anna nel «Gesù di Nazareth» di Franco Zeffirelli (1977). Amava così tanto recitare da non fare talvolta distinzione tra le ambizioni degli autori. Per lei l’apparizione ne «I giorni contati» del grande Elio Petri poteva valere quanto quella al fianco di Mario Merola in «Zappatore». E grazie a lei, anche in quest’ultimo c’era un po’ della Napoli più nobile. 

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