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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2013 alle ore 08:14.

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ROMA
Per la Procura generale di Milano il sequestro di Abu Omar è un reato «contro il diritto umanitario», perciò non può giustificare alcuna clemenza per chi lo ha commesso. Ma il presidente della Repubblica – nonostante questo parere tranchant – ha deciso lo stesso di concedere la grazia a uno dei 23 americani – il colonnello Joseph Romano, latitante – condannati dalla Cassazione a pene tra i 6 a i 9 anni di carcere per l'extraordinary rendition dell'ex imam di Milano, prelevato in strada a febbraio del 2003 da un commando della Cia, trasportato in Egitto attraverso la base Nato di Aviano (comandata appunto da Romano) e poi quella di Ramstein in Germania, torturato, sodomizzato e imprigionato al Cairo dalle autorità locali. Il parere del Pg, obbligatorio ma non vincolante, non è stato di ostacolo alla decisione di Giorgio Napolitano, che ha invece incassato quello «non ostativo» del ministro della Giustizia Paola Severino. Con una nota diramata dopo che le indiscrezioni erano già trapelate, il Colle spiega che la grazia è la «soluzione a una vicenda considerata dagli Stati Uniti senza precedenti» e serve a ovviare «a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico». L'Ambasciata americana «plaude», ma la notizia è destinata a suscitare polemiche. Forse per attutirle, in serata dal Colle fanno filtrare che ci si è ispirati «allo stesso principio che si cerca di far valere per i nostri due marò in India».
Certo, rispetto ai due marò, l'Italia si scalda poco per un egiziano all'epoca indagato per presunti rapporti con il terrorismo islamico (mai accertati, anche a causa della rendition) ma fino a prova contraria innocente, a differenza dei 23 americani condannati dalla Cassazione. E tuttavia, poiché la vicenda è gravissima e chiama in causa il rispetto dei diritti fondamentali della persona, la grazia farà discutere. In gioco c'è la difesa dello Stato di diritto – come peraltro scrive il Quirinale – e quindi l'onore del nostro Paese.
La clemenza è arrivata proprio nel giorno in cui la Corte d'appello di Milano ha depositato la sentenza di condanna dei complici italiani degli americani, l'allora capo del Sismi Niccolò Pollari (10 anni), il suo braccio destro Marco Mancini (9) e altri tre 007 (6). Lì si legge che la loro partecipazione al sequestro, in quanto «appartenenti a un'istituzione dello Stato», è molto «grave» poiché hanno consentito agli uomini della Cia «che venisse concretizzata una grave violazione della sovranità nazionale» mentre «avrebbero dovuto garantire» che un simile reato non venisse commesso, tanto più che Abu Omar aveva anche lo status di «rifugiato politico» in Italia.
Sulle condanne degli italiani e su quelle dell'ex capo della Cia in Italia Jeff Castelli e di altri due 007 americani (7 anni) si deve ora pronunciare la Cassazione. Alla luce della sua precedente sentenza (a settembre ci fu la condanna definitiva dei 23 americani e fu riaperto l'appello per Pollari e Mancini), il verdetto sarebbe stato scontato (conferma delle condanne); ma il 10 febbraio il governo Monti, per vanificarlo, ha sollevato l'ennesimo conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta, contestando alla Cassazione un uso troppo "ridotto" del «segreto di Stato» rispetto all'estensione che, secondo i tecnici di Monti, dovrebbe avere (praticamente un segreto tombale). Così, la Cassazione resterà bloccata fino alla decisione della Consulta, che potrebbe avere effetti imprevedibili per gli imputati. Del resto Napolitano, il 15 febbraio a Washington, a chi gli domandava della grazia rispondeva: la questione è all'attenzione del ministro Severino, ma «la cosa più importante è che è stato sollevato conflitto di attribuzioni contro l'interpretazione che la Cassazione ha dato della sentenza della Corte costituzionale sul segreto di Stato. Quindi è materia ancora aperta in Italia perché dall'esito di questo conflitto potranno discendere delle conseguenze».
Intanto, però, è arrivata la grazia a Romano. Le ragioni: Obama, «subito dopo la sua elezione», ha eliminato la prassi delle rendition, «ritenute dall'Italia e dall'Unione europea non compatibili con i principi fondamentali di uno Stato di diritto». Inoltre, l'11 marzo scorso il Governo Monti ha approvato un Dpr che «muta la situazione normativa» precedente perché consente al ministro della Giustizia di «rinunciare alla giurisdizione italiana su reati commessi da militari Nato in ogni stato e grado del giudizio» (prima, il limite era il rinvio a giudizio, tant'è che le richieste dell'allora ministro Alfano per perorare la giurisdizione americana per Romano furono respinte perché fuori tempo massimo). Il Dpr è un «fatto nuovo e rilevante», che avrebbe fatto emergere «un contesto giuridico diverso più favorevole all'imputato», chiosa Napolitano. Conclusione: il capo dello Stato ha «inteso dare soluzione a una vicenda considerata dagli Stati uniti senza precedenti per l'aspetto della condanna di un militare statunitense della Nato per fatti commessi sul territorio italiano, ritenuti legittimi in base a provvedimenti adottati dopo gli attentati alle Torri gemelle». La grazia «ha così ovviato a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico, con il quale intercorrono rapporti di alleanza e dunque di stretta cooperazione in funzione dei comuni obiettivi di promozione della democrazia e di tutela della sicurezza».

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